Dal Vangelo secondo Giovanni (3, 13-17) - Festa dell'Esaltazione della Santa Croce
Nessuno
è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell'uomo. «E,
come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell'uomo
sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna. Perché Dio ha
tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque
crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Infatti Dio non ha mandato
suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per
mezzo di lui.
COMMENTO
Momento culminante
di ogni premiazione di una competizione sportiva di livello mondiale è
l’innalzamento della bandiera del paese del vincitore con l’esecuzione
dell’inno nazionale. In quella bandiera che sale sul pennone più alto non è
solo simboleggiata la vittoria di un atleta o di una squadra, ma vi si ritrova
il sano orgoglio e senso di appartenenza di un’intera collettività nazionale. Ciascun
connazionale del vincitore, pur non avendo fatto niente per vincere quella
medaglia, si sentirà felice di ascoltare il proprio inno nazionale e vedere, al
culmine della cerimonia, i colori del proprio paese innalzati al centro della
scena. Tutto ciò avviene secondo un certo senso di transfert emotivo e di auto-riconoscimento
in colui che nella nazionalità condivide una parte importante dei propri
sentimenti.
In questo
splendido colloquio notturno, Gesù annuncia a Nicodémo che “… come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il
Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia la vita
eterna”. Anche qui si parla di una vittoria, e direi di una vittoria più
decisiva, quanto meno più definitiva: quella dell’amore sull’odio, del perdono
sul rancore, del dono sull’auto-possesso. La vittoria della croce sulla morte.
La partecipazione
alla vittoria del Figlio di Dio è ben più di uno shock emotivo, è la partecipazione
reale ai suoi frutti, ai suoi benefici. Incredibile a dirsi ma è proprio così:
la vittoria sugli avversari, fondamentalmente sulla morte e sul suo
atleta-campione che è il peccato, è stata riportata da Gesù ma il premio è per
tutti quelli che credono in Lui.
Credere in lui non
potrà certo significare solamente guardare un crocifisso e contemplare la sua
morte. Nel contesto evangelico credere significa sempre anche coinvolgersi,
aderire con la propria vita alle sorti del Maestro, seguire le sue tracce,
prendere la propria croce e seguirlo, cioè vivere atti di accoglienza e di
misericordia, di semplice carità, di perdono verso l’offensore, di accettazione
delle avversità pur nella lotta: gesti questi, che da soli non potrebbero mai
valere ad aprirci le porte della vita eterna, ma che vissuti in comunione con
Cristo diventano segni della nostra fede che salva.
Il solo titolo di
merito di noi cristiani, la nostra bandiera, il nostro vanto è la croce di
Gesù, perché “Dio non ha mandato Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma
perché il mondo si salvi per mezzo di lui”.
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