Dal Vangelo secondo Giovanni (10, 11-18 ) - IV Domenica di Pasqua
Io
sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non
è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le
pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), perché è mercenario e
non si cura delle pecore. Io
sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre mi
conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. Ho anche altre pecore,
che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno
la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore. Per questo mi ama il
Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. Nessuno me la toglie,
ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla.
Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio».
COMMENTO
Il pastore buono con
cui Gesù si identifica è assolutamente unico, più teorico che reale, al di là
di tutti i pastori ipotizzabili: perché a dire il vero normalmente il pastore è
proprio un “mercenario” che commercia e si guadagna il pane da vivere utilizzando
come valore di scambio la vita delle sue pecore. Nessun allevatore di
bestiame di questo mondo, dotato di un minimo di buon senso, accetterebbe di
sacrificare la sua vita per non fare morire i suoi animali, fosse anche
l’intero gregge o l’intera mandria.
Ma qui si parla di un
pastore unico nel suo genere, IL buon pastore, un pastore che pur di far
arrivare le sue pecore nell’ovile della vita eterna è disposto, Lui si che è
disposto a farlo!, ad accettare di passare attraverso il travaglio della
morte.
Secondo aspetto di
questo brano: il Buon pastore-Gesù ha il potere di donare la vita, (depositarla, dice la nuova traduzione) e di riprenderla e fa tutto questo riproducendo ciò che il
Padre gli ha comunicato, nella perfetta obbedienza a Lui; Gesù non agisce da
solo e anzi proprio perché agisce su ordine del Padre suo è totalmente libero e
ha il potere di deporre la sua vita e di riprenderla.
Ci troviamo di fronte un
paradosso un modo di pensare totalmente distante dal modo di pensare corrente, l’assurdo
di un uomo che è libero perché totalmente obbediente. Ma il punto è a chi
prestare il nostro assenso. Nessun uomo è un’isola, titolava un celebre romanzo
di Thomas Merton, e la totale libertà non esiste su questa terra, ma è più vero
che in un modo o in un altro siamo legati nostro malgrado a eventi e persone
che non possiamo controllare e gestire in piena autonomia. Se prendessimo
coscienza di questo capiremmo che c’è un’unica possibilità di essere pienamente
liberi ed è quella di affidare la nostra esistenza a Colui che ce l’ha donata
perché più di ogni altro il Padre Nostro che è nei Cieli sa di cosa ha bisogno
il nostro cuore e cosa può saziare il nostro intimo desiderio di felicità:
accogliere la vita, donarla , per poi riprenderla.
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