Dal Vangelo secondo Marco (Mc 11,1-10) - Domenica delle Palme
Quando furono vicini a Gerusalemme,
verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi
discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito,
entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora
salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate
questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». Andarono e trovarono un puledro
legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei
presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro
come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono
sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli
sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che
precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome
del Signore! Benedetto il Regno che viene, del
nostro padre Davide!
Osanna nel più alto dei cieli!».
COMMENTO
Non è la prima volta nella Bibbia che
il Signore si serve di un asino per presentarsi agli uomini. Al capitolo 22 del
libro dei Numeri proprio un asino riconosce la presenza di un angelo messaggero
di Dio ben prima del suo padrone Balaam e così facendo gli salva la vita.
In questo episodio l’asino, o meglio
un figlio d’asina, è predestinato ad essere la cavalcatura del Messia Gesù. L’asino era la cavalcatura della
dinastia davidica ed era destinata a significare le sue umili origini. Anche
con questo gesto solenne Gesù si accredita come il figlio di Davide, l’erede
dei re d’Israele che entra nella Santa città di Gerusalemme per riprendere
possesso del suo Regno. La modalità di questa riconquista è tuttavia veramente
sorprendente, e lo abbiamo già intuito in queste ultime domeniche di Quaresima
allorché Gesù annuncia la sua morte di croce definendola un “innalzamento”.
In effetti un profeta non può morire
fuori di Gerusalemme, aveva detto Gesù, (Lc 13,33) e il suo ingresso
inizialmente trionfale si trasformerà nella più grande umiliazione immaginabile
per il figlio di Dio. In questo cammino di abbassamento
(cfr Fil 2,6-11, prima lettura di questa Domenica delle Palme) Gesù si rivelerà
come il vero ed unico salvatore del mondo, che scende negli abissi della morte,
della solitudine e della sofferenza per portare tutti, ma veramente tutti, nel
suo destino di Gloria eterna; perché è scritto che “Dio, nostro salvatore,
vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1 Tim 2,4)
Purtroppo Gesù patisce e soffre
proprio per il rifiuto della sua salvezza da parte di Gerusalemme e con lei di
tanta umanità. (Lc 13,34-35) Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono
mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina
la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa vi
viene lasciata deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più fino al tempo in
cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».
Quel puledro d’asino però, che
nessuno aveva mai cavalcato, profetizza tutto il dolore e la disperazione umana
possibili, che non sono stati mai “cavalcati” da nessuno. Gesù è l’unico ad assumerli
davvero, perché la sua solidarietà non è solo ideale o spirituale, ma è
veramente simbolica cioè reale. Egli assume il nostro dolore, la nostra
angoscia per condurla con sé nella sua gloria divina.
Anche noi, quando non ci dovessimo
sentire accompagnati da nessuno, sappiamo che il Dio-uomo Gesù si è abbassato
fra noi al punto di partecipare al nostro dolore, per farci partecipi della sua
vittoria.
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