Dal
Vangelo secondo Marco (9, 30-37) – XXV domenica del tempo ordinario
In
quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non
voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva
loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo
uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non
capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao.
Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la
strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi
fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere
il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino,
lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo
di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie
me, ma colui che mi ha mandato».
COMMENTO
Se solo alcune di queste parole di
Gesù fossero state prese sempre sul serio nel corso di questi due mila anni di
cristianesimo, ci saremmo risparmiate tante delusioni! Mentre i discepoli del
Maestro discutono su chi fosse il più grande, Gesù afferma: “Se uno vuole
essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
Purtroppo certe forme esteriori della
Chiesa e certe modalità istituzionali non aiutano in nessun modo a trasmettere
l’idea che tra i discepoli di Cristo l’autorità è un servizio, cioè un mettersi
al di sotto dei fratelli per sostenere e supportare il loro cammino. Invece si
sono sempre rese presenti forme più o meno nascoste di clericalismo, vale a
dire di assolutizzazione della propria autorità da parte di quella gerarchia a
cui il Signore aveva affidato il compito di pascere il gregge, con il comando
di essere i primi a dare la vita per i fratelli.
Non credo di sbagliarmi però se dico
che l’appropriarsi del proprio servizio nella chiesa come fosse un privilegio
ed un potere propri, non è difetto solo di presbiteri e vescovi ma anche un
brutto esempio seguito da molti laici, a volte ben più clericali dei preti.
Quante volte nelle comunità cristiane si deve constatare la persistenza di vere
e proprie sacche di potere, cioè ambiti della vita parrocchiale o ecclesiale
assolutamente intoccabili e riservati da decenni agli stessi personaggi che ne
fanno un presidio, un piccolo regno personale, un luogo di affermazione del
proprio ingombrante “io”, in cui nessuno può criticare, fosse anche la
legittima autorità, sotto minaccia di interrompere ogni collaborazione. Del
tipo: “o si fa come dico io oppure me ne vado”. Essere il primo, per Gesù,
significa essere il primo a salire sulla croce, essere il primo a sacrificare
se stesso pur di far vivere nella comunione e nella pace la propria comunità.
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