Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21,33-45) - XXVII domenica del Tempo Ordinario
Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la
circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi
l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i
suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero
i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. Di
nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello
stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto
di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è
l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. E, presolo, lo cacciarono
fuori della vigna e l'uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che
farà a quei vignaioli?». Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi
e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i
costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato
fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo
che lo farà fruttificare.
COMMENTO
Ancora una parabola disegnata sullo sfondo di una vigna, realtà fortemente
radicata nella vita sociale della Palestina. Si tratta questa volta di alcuni
affittuari talmente disonesti e delinquenti da arrivare ad uccidere il figlio
del padrone. Elemento a dir poco strano è che il padrone decida di inviare a regolare una questione così
pericolosa e con degli uomini così assassini addirittura il proprio figlio. Proprio
su questo Gesù vuol far riflettere: Dio Padre adotta un comportamento fuori da
una logica di ordinario buon senso, non ha paura di mandare suo figlio, non
risparmia la cosa più preziosa che ha, osa giocare il tutto per tutto, spera
fino all’ultimo nel ravvedimento degli israeliti, destinatari della sua
Alleanza.
Tanti i modi per uccidere il Figlio del Padrone
della vigna-Regno di Dio e per appropriarsi del potere di quest’ultimo. Nella storia del pensiero occidentale qualcuno ha iniziato ad affermare che Dio
è un’affermazione della nostra mente, che tutta la realtà e quindi anche Dio
non esistono in se stessi ma esistono solo se c’è qualcuno come l’uomo che li
pensa; per poi arrivare a decretare, come qualcuno ha fatto, che “Dio è morto”.
Purtroppo viviamo in un contesto dove veramente Dio sembra proprio scomparso.
Diversamente molti non osano mettere in dubbio
l’esistenza di Dio, tutt’altro, ma il problema è che lo si stiracchia, lo si
adatta, lo si adegua a mille esigenze: conoscere il futuro, proteggersi dal
malocchio, conquistare l’amore di qualcuno, ottenere guarigioni, facilitare il proprio
successo economico e così via. Ci si vuole appropriare della potenza di Dio,
della sua “vigna” eliminando il Figlio e lo scandalo della croce, proprio come
i vignaioli omicidi.
L’uccisione del Figlio avviene attraverso la
negazione del Cristo, e del Cristo obbediente fino alla morte di croce. La
sofferenza deve scomparire a tutti i costi; la sofferenza non è più luogo di
incontro con il mistero della redenzione e occasione di co-redenzione, ma
solamente una maledizione o peggio una condanna.
Su ogni tentativo di estromissione del piano
del Signore regna la croce di Cristo. Ciò avviene negli umili credenti e nei
piccoli di ogni tempo e cultura, in coloro che sanno trasmettere l’ardente
passione di Cristo per l’umanità, che
sanno farsi carico delle proprie e altrui avversità con la stessa sua tenerezza
e abbandono nell’amore del Padre.
Un giorno, in Africa, dopo la celebrazione di
una Messa domenicale, una signora con un sorriso e un volto solare mi ha
chiesto di pregare per lei. Da 14 anni suo marito era paralizzato in casa e
da 14 anni lei continuava a restargli accanto per assisterlo. Ecco i nuovi
vignaioli che nel silenzio stanno facendo fruttificare la Vigna e che saranno sasso
di inciampo per i mille adùlteri della leggerezza, della banalità e del nulla.
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