Dal Vangelo secondo Matteo (22, 34-40) - XXX Domenica del Tempo Ordinario
Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si
riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per
metterlo alla prova: «Maestro, qual è il più grande comandamento della
legge?». Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con
tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il
primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo
tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i
Profeti».
COMMENTO
Il dottore della legge domanda un comandamento, il comandamento più importante,
quello che veramente fonda tutti gli altri. Gesù ne da due, e non può fare a
meno di rispondere così proponendo due
comandamenti che si rassomigliano a tal punto da essere una cosa sola. San Giovanni nella sua prima lettera ce lo fa capire altrettanto chiaramente: "Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio:
chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto
Dio, perché Dio è amore …. Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi
dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli
uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi". (1Gv
4, 7- 12)
La croce di Gesù è la spiegazione e l’esegesi più completa
dell’amore che è Dio. Lui ci ha amato da morire. Se noi diciamo di amare Dio
dobbiamo ri-trasmettere quello che abbiamo ricevuto, altrimenti diciamo
frottole, a noi stessi anzitutto. "Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore.
Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non
vede". (1 Gv 4, 19 ).
Chi ha l’amore di Dio nel cuore fa tutto per amore. Chi non vive nell’amore di
Dio, farà tutto per un tornaconto personale, anche si trattasse del gesto, in
se stesso, più generoso e altruistico. Se la croce di Cristo è l’esegesi e la spiegazione più
precisa del comandamento dell’amore, l’incarnazione è il presupposto della
perfetta somiglianza di questi due precetti. Da quando Dio ha assunto un volto
e una natura umana, ogni uomo, specialmente quello più fragile e
sofferente, è diventato immagine del Cristo sofferente. Per questo dice Gesù: “Ogni
volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli l’avete fatto a me” ( Mt 25,40 ).
Quello che vivo con il fratello più vicino, il prossimo, dice la verità di ciò che sto vivendo con Dio.
Non a caso San Francesco d’Assisi testava la sincerità della vocazione dei suoi
primi frati mandandoli ad assistere i lebbrosi. In effetti senza radicamento nella croce di Cristo, il fratello non è più
il termine della donazione, di una carità totale, ma piuttosto strumento per
andare oltre, per passare oltre, diventa una stazione di transito per
raggiungere , a volte in modo molto subdolo, fini esclusivamente personali. Il
fratello che mi vive accanto è dunque un esame di coscienza
permanente.
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