di fra Damiano Angelucci
Dal Vangelo secondo Marco(14,12-16; 22-25) - Solennità del Corpus Domini
Il
primo giorno degli Azzimi, quando si sacrificava la Pasqua, i suoi discepoli
gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la
Pasqua?» Egli
mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate in città, e vi verrà
incontro un uomo che porta una brocca d'acqua; seguitelo; dove
entrerà, dite al padrone di casa: "Il Maestro dice: 'Dov'è la stanza in
cui mangerò la Pasqua con i miei discepoli?'". Egli
vi mostrerà di sopra una grande sala ammobiliata e pronta; lì apparecchiate per
noi». I
discepoli andarono, giunsero nella città e trovarono come egli aveva detto
loro; e prepararono per la Pasqua. […] Mentre
mangiavano, Gesù prese del pane; detta la benedizione, lo spezzò, lo diede loro
e disse: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi, preso un calice e
rese grazie, lo diede loro, e tutti ne bevvero. Poi Gesù disse: «Questo è
il mio sangue, il sangue del patto, che è sparso per molti. In
verità vi dico che non berrò più del frutto della vigna fino al giorno che lo
berrò nuovo nel regno di Dio».
Commento
Il
sangue del patto è sparso per molti, i tutti che sono veramente molti e sono
chiamati ad entrarvi fino a quando Gesù non berrà nuovo il frutto della vigna.
Dal momento dell’ultima cena veramente Gesù non berrà più vino, tranne forse
quel goccio di aceto offertogli sulla croce. Il vino che Gesù ci dona è il vino
nuovo, è il vino della gioia delle nozze: non a caso la sala del cenacolo è
situata al primo piano perché è al primo piano dove normalmente si trovava la
stanza matrimoniale.
Il vino di Gesù, simbolo reale del suo sangue, quindi
della sua vita, è anche simbolo della gioia; è un vino che sgorga sempre nuovo,
anche dall’acqua come alle nozze di
Cana quando Gesù cambiò l’acqua in vino salvando la buona riuscita della festa.
Il segno che Gesù offre ai due discepoli per scegliere la sala per la cena
pasquale è di fatto un uomo che porta una brocca d’acqua, forse perché anche in
questo caso Gesù deve trasformare un vecchio rito che ormai non poteva più dar
sapore alla fede degli uomini in un rito nuovo, quello dell’offerta del suo
vero corpo e del suo vero sangue.
Questo rito troverà
la sua conferma storica nell’evento della croce. Gesù ritualizza la sua morte
apportatrice di salvezza perché la ripetizione di quel rito ci permetta di
tornare ogni volta ai piedi della croce. Ogni volta egli ci da il suo corpo e
il suo sangue, cioè la sua vita per la nostra salvezza, e nella sua morte c’è
spazio anche per la nostra goccia d’aceto. Quell’aceto offerto a Gesù poco
prima di morire è anche’esso frutto
della vigna ma è un vino deteriorato, un vino passato, un vino vecchio, un vino
che doveva dar gioia ma che ormai è solo acido.
Anche noi chiamati ad offrire
le nostre amarezze, a porgere a Gesù tutte le nostre speranze, illusioni,
sogni, aspettative di gioia sfumati e divenuti acidi. Lui berrà nuovo il frutto
della vigna con tutti noi, quando il mondo sarà rinnovato, le nostre vite
rinate, le nostre sofferenze trasformate in gioia perenne, i nostri sepolcri
spalancati alla vita, e i nostri cuori rinati al sorriso della vita eterna.
Gesù in un pezzo di pane e un calice di vino stabilisce un nuovo patto con
l’umanità: il nostro aceto in cambio del suo vino nuovo, le nostre delusioni in
cambio della sua speranza che non delude, la nostra vita vecchia in cambio
della sua vita nuova, eterna.
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