Dal Vangelo secondo Marco (8,27-35 ) - XXXIV domenica del tempo ordinario
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli
verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i
suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli
risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu
sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed
essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire
ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a
rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò
Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma
secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol
venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché
chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita
per causa mia e del Vangelo, la salverà».
COMMENTO
Costatazione amara:
a fare le cose gratuitamente, disinteressatamente, senza la speranza di alcun
ritorno, sono in pochi, molto pochi. Forse nessuno, e non sembri troppo
pessimista questa supposizione. Infatti, se il termine di confronto su cui
misurare il disinteresse, la libertà, la non ricerca di secondi fini non
dichiarati è l’atto d’amore di Dio rivelato in modo definitivo nella croce di
Gesù, allora mi chiedo e vi chiedo chi potrà mai dire di aver fatto qualcosa
per pura generosità. Lo spirito del
mondo, lo spirito e la logica che anima l’uomo lasciato a se stesso, quell’uomo
che non apre il cuore al dono dell’amore di Dio è gioco-forza lo spirito
dell’auto possesso, dell’auto affermazione.
Non è sufficiente guardare ed ammirare Gesù di Nazaret. Occorre viverlo, respirare il suo soffio, ascoltare in modo profondo la sua parola, parola di vita, parola che ci chiede di perdere tutto, anche la nostra vita (se fosse necessario) per ritrovare tutto nell’eternità: il più grande e fondamentale investimento della nostra esistenza, il capitale da versare è appunto il nostro “capo” cioè la nostra stessa umanità, le nostre decisioni, ispirazioni e motivazioni più profonde.
La fatica di Pietro
è l’accettazione del modello di salvezza proposto dal suo Signore. Egli ha
compreso correttamente l’identità di Gesù, il suo essere Messia, cioè Cristo,
unto, prescelto da Dio per portare la
salvezza agli uomini; la sua difficoltà è comprendere che la salvezza di Gesù
passa per la croce, la sua anzitutto; perché la sua salvezza non è un gesto di forza
quanto piuttosto un gesto di amore; non un intervento risolutivo che giunge
solo dall’alto, quanto una discesa che dal cuore di Dio discende verso il
basso, verso l’assunzione dei dolori e delle povertà e delle umiliazioni e
delle ingiustizie subite dagli uomini per riportare tutto ciò nella pace e
nell’amore eterno dell’Onnipotente.
Ma la salvezza passa anche attraverso la croce di ogni uomo, perché chi come Francesco d’Assisi comprenderà l’immensità dell’amore di Dio che tutto si dona per ciascuno di noi, sentirà pressante il desiderio di investire tutto in questa sequela di amore crocifisso, nella totale donazione di ogni cosa della propria vita , pur di ripagare con altrettanta moneta l’abbassamento del Dio Altissimo verso noi umili e povere creature. ( Cristo Gesù patì per voi lasciandovi un esempio perché ne seguiate le orme” 1 Pt 2,21 )
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