mercoledì 15 gennaio 2014

Umiltà e preghiera

di fra Giuseppe Bartolozzi
        

Il significato di ogni autentica preghiera cristiana, sia questa di lode e ringraziamento, oppure di domanda e intercessione, è questo: il nostro essere e la nostra vita dipendono esclusivamente da Dio. Gesù ci insegna: “Chi di voi, per quanto si affanni può aggiungere un’ora sola alla sua vita?”(Lc 12, 25). Poiché "Dio è colui che dà, l’uomo è colui che riceve"(Ireneo), nella preghiera può accostarsi veramente a Dio solo chi è umile: “Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili”(1Pt, 5, 5). Quando Gesù proclama: “beati i poveri nello spirito perché di essi è il regno dei cieli”(Mt 5, 3) e quando benedice il Padre che ha nascosto i suoi misteri ai dotti ed ai sapienti e li ha rivelati ai piccoli (cf. Lc 10, 21), intende dire che Dio abita il cuore di chi è umile davanti a Dio.

Con questo è evidente che noi tocchiamo un aspetto essenziale della nostra preghiera: a fondamento di tutti gli atteggiamenti del cuore necessari per la preghiera c’è l’umiltà, cioè quel riconoscimento che Dio è tutto per me ed io sono nulla senza di lui. Il giovane ricco si rivolse a Gesù chiamandolo: “Maestro buono …”, e che cosa si sentì rispondere? “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non uno solo, Dio”(Lc 18, 18). Gesù, in quanto Figlio di Dio, poteva accettare di essere chiamato ‘buono’, tuttavia preferisce indicare che solo il Padre possiede la pienezza della bontà perché ne è la sorgente.


A questo riguardo vorrei richiamare un episodio particolare: terminata una celebrazione eucaristica nella quale avevo letto proprio questo passo del vangelo, una persona da me conosciuta viene a dirmi che sentendo le parole: “nessuno è buono se non Dio solo” gli si era presentata nella mente come un lampo l’immagine della sua persona prostrata a terra ed avvolta in un manto. Mi chiese che cosa potesse significare questa specie di visone e all’inizio rimasi perplesso, poi mi fu chiaro che quell’immagine indicava come bisogna stare davanti a Dio che solo è buono: adorare con umiltà. 

Un giorno Pietro disse a Gesù: “noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”(Gv 6, 69). Ecco, nella preghiera, come nella vita, dimentichiamo sempre il punto di partenza, dimentichiamo di confessare questo: Signore Gesù, io sono povero e ho bisogno della tua bontà e della tua santità! Infatti, è questo il rimprovero che il Signore ci fa in un passo dell’Apocalisse mediante delle immagini significative: “Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista”(Ap 3, 17-18). Tanto più siamo umili nella nostra preghiera tanto più ci approprieremo della ricchezza di Cristo!

Un maestro di preghiera scrive così ad un suo conoscente: “Tu hai molte risorse intellettuali e materiali; sei in un posto di comando; ti si ammira e ti si teme, ti si ama e ti si obbedisce; molte persone e cose dipendono da te; ed ecco che in un ambito quello dell’orazione, fallisci … Ti sei accanito a tentare di riuscirvi, ma invano. E la tua lettera mi informa che «la preghiera non è per te», che tu abbandoni la partita. Ti prego, acconsenti a riflettere ancora prima di rinunciarvi. Questo tempo di preghiera quotidiana ti sembra intollerabile: ciò non viene forse da un segreto rifiuto di accettarti indigente, impotente, povero, anche solo per mezz’ora al giorno? Se, appena cominciata l’orazione, hai fretta di tornare ad un’attività professionale, non sarà perché non vedi l’ora di dimostrare agli altri, e prima di tutto a te stesso, che sei un uomo «capace», un uomo creatore, efficiente? Non fidarti! Io temo che tu ceda ad una tentazione insidiosa, pericolosa, che rischia di farti cadere nel partito di quegli uomini che Cristo ha maledetto: i ricchi. Il ricco, infatti, è un uomo che può, che ha, che è. Quanto è necessaria per te l’orazione! Nella tua vita attuale dominata dal successo essa ti offre la possibilità di scoprire i tuoi limiti, di sperimentare la povertà più vera, la più salutare, quella dell’anima. Benedicila perché ti fa ritrovare la tua infanzia, quel tempo in cui tu non potevi gran che, non possedevi gran che, in cui dipendevi dagli altri, piccolo e debole. Nel Regno di Dio non si è altri che un bambino senza niente, povero. … Capisci ora perché l’orazione è per te necessaria? Essa fa di te, per mezz’ora al giorno, un povero. Afferri ora perché ti dicevo che la tua impotenza nella preghiera è un beneficio? Essa ti porta a scoprire e ad accettare non soltanto la tua incapacità di pregare ma più radicalmente, la tua incapacità di salvare te stesso. Essa ti obbliga ad adottare l’atteggiamento di un mendicante che spera tutto, gratuitamente, dall’indistruttibile amore di Dio. Persevera, ti prego, e la pace a poco a poco si sostituirà alla tua esasperazione, e tu saprai rimanere ai piedi del Signore, felice di essere povero. Avrai, infine, scoperto che pregare è esporre la propria povertà allo sguardo di Dio” (Caffarel).

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