Dice Gesù: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”(Gv 4, 35). Possiamo supporre
che la preghiera notturna di Gesù, fatta in solitudine, di cui ci parla il vangelo (cf.
Mc 1, 35) sia stata animata da una parte dal desiderio di custodire l’intimità col Padre [“io sono nel Padre e il Padre è in me”(Gv
14, 11)], dall’altra di realizzare la volontà del Padre, cioè la
manifestazione del Regno di Dio, e di intercedere
perché questo si compisse. Anche nella sua preghiera terrena Gesù è
stato il grande intercessore presso il Padre per la salvezza del mondo,
come ci suggerisce questo passo del vangelo: “Simone, Simone, ecco
satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano;
ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede”(Lc
22, 31-32).
Soprattutto con il compimento del suo mistero pasquale di
morte e risurrezione, Gesù diviene colui che è “sempre vivo per
intercedere a nostro favore”(Eb 7, 25);
“… abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo colui che rende giusti”(1
Gv 2, 1). Il tema dell’intercessione di Cristo vivente presso il
Padre è stato sviluppato particolarmente dalla Lettera agli Ebrei:
“Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote che ha attraversato i
cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la
professione della nostra fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote
che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso
provato in cosa, come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque
con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere
misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno”(4,
14, 16).
Nell’Antico Testamento abbiamo la figura di Mosè che intercede
per il suo popolo. Amalek venne a combattere contro
Israele e “Mosè disse a Giosuè: scegli per noi alcuni uomini ed esci in
battaglia contro Amalek. Domani io starò ritto sulla cima del colle con
in mano il bastone di Dio. … Quando Mosè alzava le mani, Israele era il
più forte, ma quando le lasciava cadere,
era più forte Amalek. Poiché Mosè sentiva pesare le mani dalla
stanchezza, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi
sedette, mentre Aronne e Cur sostenevano le sue mani. Così le sue mani
rimasero ferme fino al tramonto del sole. Giosuè sconfisse
Amalek e il suo popolo” (Es 17, 9-13).
Mosè è qui immagine di
Gesù, il solo vero e grande Intercessore che ci ha procurato una
salvezza eterna ed intercede continuamente per i suoi fratelli. Sì, ecco
la grande verità che noi spesso dimentichiamo: Cristo
ci ha resi suoi fratelli; egli dice infatti alla Maddalena dopo la
risurrezione: “… ma va dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre
mio e Padre vostro”(Gv 20, 17). Se egli è il capo del corpo che è la Chiesa (cf.
Col 1, 18) “egli ci dà il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio”(Ef
3, 12).
Per mezzo del profeta Ezechiele Dio dice: “Io ho cercato fra
loro un uomo che costruisse un muro e si ergesse sulla breccia di fronte
a me, per difendere
il paese perché io non lo devastassi, ma non l’ho trovato”(Ez
22, 30). Un uomo così non c’era, ma Dio ci ha donato il suo Figlio Gesù
Cristo. Ecco l’uomo che Dio cerca: in piedi sulla breccia, le due
braccia stese per intercedere e che non si stancano,
come quelle di Mosè. “Perciò doveva rendersi in tutto simile ai
fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle
cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
Infatti, proprio per essere stato messo alla prova
ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli
che subiscono la prova”(Eb 2, 17-18).
“Mettersi in orazione è
raggiungere la preghiera di Cristo, è prendere il nostro posto nel cuore
di Cristo che prega il Padre suo”(Caffarel):
questo è vero poiché “Dio ha inviato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida Abbà, Padre”(Gal
4, 6). In tutti i battezzati è suo Figlio che il Padre riconosce; nella
loro preghiera è la preghiera del Figlio che il Padre ascolta.
“Ogni anima in stato di grazia ha
la capacità di pregare. È sufficiente che passi all’atto del pregare
perché la preghiera di Cristo, in essa e per essa, si slanci verso il
Padre. Ma questa preghiera di Cristo, che il battesimo ci comunica, è in
noi un seme, come il seme della
parabola che, più piccolo tra tutti, può diventare un grande albero.
Questa parabola non riguarda la preghiera di Cristo, bensì il Regno di
Dio nel mondo, tuttavia, il Regno di Dio è la presenza di Cristo … ora
chi dice presenza di Cristo dice preghiera di
Cristo poiché per lui vivere è pregare. Se dunque la preghiera di
Cristo è in noi, semente in mezzo ai cespugli, accostarsi alla preghiera
consiste essenzialmente nel prendere coscienza di questa preghiera e
nel favorirne lo sviluppo.
Ma siamo modesti: non
è la terra che produce la semente, non è l’attività del giardiniere che
produce i fiori e i frutti; tutt’al più la terra e il giardiniere
offrono le condizioni e gli elementi richiesti per lo sbocciare e la
crescita della pianta. Non è il cristiano che produce
la preghiera, questa preghiera che sola piace al Padre, la preghiera
del Figlio; essa è dono di Dio, eppure si indebolisce se noi non le
forniamo l’adesione e il concorso di tutto il nostro essere, se noi non
ricorriamo ai sacramenti che l’alimentano. Essa
soffoca tra i cespugli se, nel tempo dell’orazione non sfrondiamo
questa vegetazione di pensieri, di sentimenti, di desideri che ci
intralciano. Ma se facciamo ciò che tocca a noi, allora, la preghiera di
Cristo cresce in noi «come un uomo che getta il seme
nella terra: dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e
cresce; come, egli stesso non lo sa»(Mc 4, 26-27)”(Caffarel).
Cresce in noi se siamo perseveranti. “Un ragionamento che viene fatto
abbastanza spesso e che può impedirci di essere
fedeli alla preghiera è il seguente. In una cultura come la nostra
amante della libertà e dell’autenticità, si sentono persone dire:
pregare … trovo questo molto bello, ma io prego solamente quando mi
sento spinto a farlo. Andare a pregare quando non ho nessuna
voglia, sarebbe qualcosa di artificioso e di forzato; sarebbe anche una
mancanza di sincerità e una forma di ipocrisia. Pregherò quando ne avrò
il desiderio.
A ciò bisogna rispondere che, se aspettiamo che venga la
voglia, attenderemo forse invano sino alla
fine dei giorni. Il desiderio è qualcosa di molto bello, ma di
mutevole. Vi è un motivo ugualmente legittimo, ma assai più profondo e
più costante per spingerci a incontrare Dio nella preghiera: il fatto
semplicissimo che lui stesso ci invita a farlo. Il Vangelo
chiede di pregare sempre, senza stancarci (cf. Lc 18, 1).
Ed è ancora la fede, non lo stato d’animo soggettivo che deve guidarci.
… La fedeltà alla preghiera è una scuola di libertà e di verità
nell’amore, poiché essa ci insegna gradualmente
a porre la nostra relazione con Dio su di un terreno che non è più
quello vacillante e instabile delle nostre impressioni, delle nostre
variazioni di umore, del nostro fervore sensibile che va su e giù, ma
sulla pietra solida della fede, sul fondamento della
fedeltà di Dio incrollabile come la roccia: Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13, 8)” (J Philippe).
Dunque, se noi siamo fedeli alla preghiera, Gesù
il Fedele farà crescere in noi la sua presenza e la sua preghiera
affinché la nostra esistenza sia afferrata dalla grazia dello Spirito
Santo: è proprio la grazia dello Spirito Santo che Gesù intercede senza
posa per noi al Padre ed è soprattutto il
dono dello Spirito che Gesù insegna a chiedere nella preghiera : “Se
dunque voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli,
quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che
glielo chiedono”(Lc 11, 13).
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