“Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci
a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli a pregare». Ed egli disse loro: «Quando pregate dite:
Padre …» (Lc 11, 1-2). Soffermiamoci su questa prima
espressione della preghiera che Gesù ha donato ad ogni suo discepolo.
Noi sappiamo che Gesù nella sua preghiera si rivolgeva al Padre
chiamandolo, nella sua lingua aramaica,
Abbà, come ci testimonia l’evangelista s. Marco a proposito della
preghiera di Gesù nel Getsemani: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te,
allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che
vuoi tu”(14, 36).
S. Paolo afferma nella lettera
ai Galati: “Dio ha inviato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio,
che grida Abbà, Padre!”(4, 6). Allo stesso modo nella lettera ai Romani:
“Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli
di Dio, … avete ricevuto uno spirito da
figli per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!”(8, 15). Se s. Paolo,
in riferimento alla preghiera del cristiano, ci ha conservato la parola
aramaica
Abbà per rivolgersi al Padre celeste, ciò vuol dire che
quest’espressione aveva una particolare importanza, potremmo dire che
questa fosse come una preziosissima reliquia, dovuta al fatto che era
stata la stessa espressione che Gesù aveva utilizzato
nella sua preghiera, come ci testimonia l’evangelista Marco. Da questo
possiamo concludere che la prima espressione della preghiera insegnataci
da Gesù sia
Abbà: questa è equivalente del termine greco Padre quale lo troviamo ora nel vangelo.
La parola
Abbà, però, dice qualcosa in più rispetto a quella di Padre. Infatti,
Abbà è la parola familiare del bambino: papà; quindi se si vuole rendere la sfumatura di tenerezza familiare e fiduciosa di questo
Abbà si dovrebbe tradurre con “mio amato Padre”, “mio caro
Padre”. Nella tradizione della preghiera ebraica, prima di Gesù e dopo
di Gesù, l’espressione
Abbà per rivolgersi a Dio non è stata mai usata e il motivo è
questo: “per una mente giudaica, sarebbe stato irriverente e perciò
impensabile chiamare Dio con questa parola familiare. Fu qualcosa di
nuovo, qualcosa di inaudito che Gesù osasse compiere
questo passo e si rivolgesse a Dio con la semplicità, intimità e
fiducia con cui un bambino si rivolge al proprio padre. Non vi è dubbio
che l’Abbà con cui Gesù usava rivolgersi a Dio, riveli la vera
natura della comunione che egli aveva con Dio”(Jeremias),
cioè che egli era realmente il Figlio di Dio.
Tornando alla circostanza
in cui Gesù insegna ai suoi discepoli a pregare, abbiamo visto che un
discepolo aveva chiesto: “Signore insegnaci a pregare, come anche
Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli a pregare”.
“Questa richiesta implicava il desiderio dei discepoli di avere una
preghiera loro propria, come i seguaci del Battista, o i Farisei, avevano
le loro preghiere. “Signore insegnaci a pregare” significa quindi
“Signore dacci una preghiera che sia il contrassegno
e simbolo dei tuoi seguaci”. Gesù esaudisce questa richiesta, e nel
farlo egli per prima cosa autorizza i suoi discepoli a seguirlo dicendo
Abbà. Egli dà loro questo vocativo (cioè si tratta di
un’invocazione: o amato Padre) come segno della loro qualità di
discepoli.
Con l’autorizzazione ad invocare essi pure Dio come
Abbà egli li fa partecipi della sua stessa comunione con Dio”(Jeremias); s. Paolo dice infatti che Dio ci ha donato
lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà. Le antiche
liturgie cristiane mostravano di essere consapevoli della grandezza di
questo dono quando premisero alla preghiera del Signore le parole che
ancor oggi ripetiamo: “Noi
osiamo dire: Padre nostro”. Dunque, quest’invocazione con cui
inizia la preghiera che Gesù ci ha lasciato, costituisce un continuo
richiamo al grande mistero della nostra elezione così come è annunziato
da s. Paolo nella lettera agli Efesini: “Benedetto
sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con
ogni benedizione dello Spirito nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti
prima della fondazione del mondo per essere santi e immacolati al suo
cospetto nell’amore, predestinandoci ad essere
suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo”(Ef 1, 3-5).
Tutta la nostra preghiera cristiana può essere concentrata in questa invocazione a Dio da cui iniziare e a cui sempre ritornare:
Abbà, Padre! Qui c’è tutto quello che è Dio per noi e quello che
noi siamo per Dio. Quanto Gesù dice: “Lasciate che i bambini vengano a
me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di
Dio”(Lc 18, 16), possiamo applicarlo
innanzitutto alla nostra preghiera: egli ci invita a metterci davanti a
Dio con quell’abbandono, fiducia e intimità che i bambini hanno nei
confronti dei loro genitori.
“Abbà, Padre amato!”. Così i
discepoli, come il loro Maestro, possono rivolgersi
a Dio con una tenerezza filiale. È questa in effetti la grande
rivelazione che Gesù porta al mondo: coloro che credono in lui sono
figli di Dio e non in senso metaforico ma realmente, poiché sono
generati da Dio: “A quanti però l’hanno accolto ha dato potere
di diventare figli di Dio; a quelli che credono nel suo nome, i quali
non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio
sono stati generati”(Gv 1, 12-13).
“Gesù ha fatto di più che insegnare ai suoi le parole delle quali devono servirsi
per pregare. Dal giorno della Pentecoste egli invia lo Spirito Santo che nel profondo del cuore di ogni cristiano sussurra:
Abbà! Se noi sapessimo vivere all’interno di noi stessi sapremmo
riconoscere la sua voce. Bisogna credere che i corrispondenti di s.
Paolo fossero più sensibili di noi alle ispirazioni dello Spirito. In
effetti, per ricordare loro che sono figli di Dio,
l’Apostolo non esita a scriver loro (io parafraso appena il suo testo):
non è forse vero che quando voi vi raccogliete, una parola, un grido,
sgorga dal profondo di voi stessi:
Abbà? Questo non vi deve stupire: voi avete ricevuto lo Spirito
Santo e, voi lo sapete bene, lo Spirito Santo è lo Spirito del Figlio.
Lo Spirito del Figlio suscita in voi i sentimenti del Figlio e fa salire
alle vostre labbra l’invocazione stessa di
Cristo: Abbà, Padre amato! Quale prova migliore potete
desiderare della vostra filiazione divina? (Caffarel).
Quando Gesù dice
alla samaritana: “i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e
verità, perché il Padre cerca tali adoratori”(Gv
4, 23) vuol dire questo: nello Spirito Santo donato dal Cristo noi
possiamo adorare Dio come Padre, essere inseriti nel mistero del Dio
vivente che è Trinità. La nostra preghiera esprime la nostra nuova vita
in Cristo e questo ci è richiamato soprattutto dall’espressione
con cui inizia la preghiera del Signore: Abbà, Padre!
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