di fra Damiano Angelucci
Dal Vangelo secondo Giovanni (3, 14-21) - IV Domenica di Quaresima
In quel tempo,
Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna
che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la
vita eterna. Dio infatti ha
tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui
non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il
Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per
mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato
condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato
più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque
infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non
vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia
chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
COMMENTO
Il libro dei
Numeri (al capitolo 21) ci racconta l’episodio a cui Gesù fa riferimento; era successo che nella fatica dell’esodo verso la
terra promessa gli israeliti avevano rimpianto la schiavitù d’Egitto e
mormorato contro Mosè, tanto che Dio aveva loro mandato dei serpenti velenosi
per punirli. L’unico rimedio che venne offerto, di fronte al pentimento degli
israeliti, fu di rivolgere lo sguardo ad un serpente di bronzo innalzato dallo
stesso Mosè sopra un’asta.
Siamo nell’Antico
testamento e certamente gli episodi storici sono interpretati in modo molto
semplificato e con delle relazioni di causa-effetto molto stilizzate, tuttavia
essi sono delle figure molto espressive della realtà definitiva della nostra
salvezza che è Cristo Gesù, innalzato sull’asta della croce, per salvarci da
tutti i peccati portando nella vita eterna tutti quelli che con fede, in ogni
luogo del mondo ed in ogni epoca della storia, volgeranno a lui lo sguardo del
proprio cuore. Secondo questa immagine, dunque, Gesù è il nuovo serpente di
bronzo perché in lui si concentra per essere sconfitto tutto il peccato del
mondo e l’uomo sarà chiamato a riconoscere questo innalzamento come la sua
unica possibilità di salvezza, l’unica luce, per non smarrirsi nelle tenebre della morte
eterna.
Il passaggio dalle
colorite descrizioni dell’Antico Testamento alla piena rivelazione della
misericordia di Dio rivelata in Cristo Gesù ci fa comprendere perciò la vera
natura della missione di Gesù. L’eventuale condanna eterna, o seconda morte,
come la chiama il libro dell’Apocalisse, non deve essere più erroneamente
considerata una condanna divina, ma piuttosto la logica conseguenza del
rifiuto della salvezza proposta all’uomo nella persona di Gesù che chiede di
essere accolto, per dare vita, per dare gioia, per dare pienezza all’esistenza
dell’uomo.
Come tanti parroci
anche io nella mia parrocchia di Pesaro sto ultimando le benedizioni delle
famiglie in occasione della Santa Pasqua, incontrando e ascoltando tante
situazioni di fatica, di prova, spesso di vera e propria sofferenza. Le parole
di Gesù appena ascoltate mi fanno pensare che lui, in particolare la sua croce,
è l’unica via d’uscita da tutti i rancori, le frustrazioni e le sconfitte che
la storia personale può riservare.
Vi
confesso che in 46 anni di vita, una piccola parte dei quali vissuti in
missione in Africa, non credo di aver mai incontrato una persona
intrinsecamente cattiva, ma solo persone sofferenti con enormi ferite nel
cuore, incapaci di farsene una ragione, istintivamente portati a vomitare sugli
altri tutte le piccole o grandi violenze subite. Non ci sono uomini cattivi, ma
uomini incapaci di digerire le cattiverie subite.
Solo Gesù innalzato sulla
croce salva dalla morte, non solo quella eterna della condanna definitiva, ma
anche dalla morte del cuore che ci rende incapaci di perdonare, di accogliere,
di scusare. Gesù innalzato sulla croce mostra al mondo il volto misericordioso
di Dio Padre e chiede ad ognuno, non tanto di giustificare ma di comprendere,
non di condannare ma di accogliere, non di respingere ed emarginare ma di
custodire. Quel volto ci interpella e getta luce sull’ombra spesso molto lunga
di tante brutte esperienze subite o fatte subire agli altri: non accogliere
questa Luce sarebbe un vero Peccato!
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