di fra Giuseppe Bartolozzi
Nella preghiera si tratta, innanzitutto, di
stare con fede alla presenza di Dio che abita il nostro
cuore. “Dio è in noi, al centro del nostro essere. Presente, vivo,
amante, attivo. Là ci chiama. Là ci aspetta per unirci a Lui. Dio è là, siamo noi che non ci siamo. La nostra esistenza
trascorre all’esterno di noi stessi, o perlomeno alla periferia del
nostro essere, nella zona delle sensazioni, emozioni, delle
immaginazioni, delle discussioni … in questa periferia dell’anima,
rumorosa ed inquieta.
L’orazione è lasciare questa periferia
tumultuosa del nostro essere; è raccogliere, radunare tutte le nostre
forze e immergersi nella notte arida verso la profondità della nostra
anima. Là non resta che tacere e farsi attenti. Non si tratta più di
sensazioni spirituali, si tratta della
fede: credere nella presenza di Dio. Adorare in silenzio la
Trinità vivente. Offrirsi e aprirsi alla sua vita zampillante.
Se
volete che tutta la vostra vita divenga una lunga preghiera, una vita
alla presenza di Dio, una vita con Dio, se volete diventare
delle anime di preghiera, sappiate, durante il giorno, rientrare spesso
in voi stessi per adorare il Dio che vi attende. Non c’è bisogno di un
tempo prolungato: un tuffo di un istante, e ritornate ai vostri compiti,
ma ringiovaniti, rinfrescati, rinnovati” (H.
Caffarel). Dicevamo l’ultima volta che la nostra preghiera è autentica
se è autentica la nostra fede, come quella che nel Vangelo è mostrata
dal centurione romano nei confronti di Gesù: “Dì soltanto una parola e
il mio servo sarà guarito”(Mt 8, 8).
Se un pagano, quale era il centurione, ha potuto riconoscere, certo per
una grazia singolare, la presenza di Gesù come Salvatore in maniera
così chiara e netta, perché noi, i fratelli di Gesù, fatichiamo a volte
così tanto ad abbandonarci a Lui? Ecco un aspetto
della povertà della nostra preghiera.
Tuttavia, la poca fede non ci
deve allontanare dalla preghiera, anzi bisogna credere che stare davanti
al Signore con amore è la scuola migliore per far crescere la nostra
fede. Nella preghiera del cuore, nello stare davanti
al Signore con una attenzione amorosa, potremmo domandargli,
innanzitutto, di accrescere la nostra fede: “Credo, aiutami nella mia incredulità” (Mc 9,14-24). È
questo il grido di chi nella fede si abbandona al Signore presente, ma
nello stesso tempo sente il bisogno di crescere in questo abbandono
fiducioso. Un altro episodio evangelico significativo
è quello di Tommaso che da incredulo diviene credente: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20, 24-29): è la confessione più
importante della fede in Gesù e il possessivo “mio” la rende
particolarmente adatta perché sia nella preghiera anche
la nostra confessione di fede ripetuta con amore e gioia.
“Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”. L’espressione è un
invito a superare quella difficoltà della fede che scaturisce dal fatto
che non vediamo il Signore
come lo hanno visto i testimoni della sua risurrezione. Gesù ci dice
che c’è una beatitudine, quindi una particolare grazia per entrare nel
regno di Dio, quando pur non percependolo con i nostri sensi ci
affidiamo ugualmente a lui. Ci può essere la tentazione
di abbandonare la preghiera proprio perché ci sembra di non sentire il
Signore così come noi lo desidereremmo o di sentire tutta la debolezza
della nostra fede: è quello il momento di richiamare alla mente
quest’espressione di Gesù che ci incoraggia a proseguire
nel cammino della preghiera poiché egli conosce la nostra difficoltà;
egli ci ripete: “Non temere, continua solo ad aver fede!”(Mc 5, 36).
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