Il giornalista ed editore Jean-Claude Guillebaud ci racconta la sua storia di conversione. Nato nel 1944 ad Algeri, è un giornalista e saggista francese. Grazie alla vicinanza con pensatori cristiani come René Girard, si è riavvicinato al Cristianesimo attraverso un lavoro culturale di rilettura della Tradizione, dell'esperienza e del pensiero cristiano come chiave decisiva per comprendere le mutazioni del tempo presente.
«Il contrario del peccato non è la virtù, bensì la fede! È
vero che ritrovare delle convinzioni cristiane non è sufficiente per
considerarsi tali, ridiventare cristiano implica qualcosa di più personale e io
penso che la mia vita sia cambiato proprio da questo punto di vista.
Ho avuto la sensazione di essere come un bambino che ritorna
a casa, che ritrova la sua abitazione. Per un po’ mi sentivo in questa
situazione imbarazzante. Conoscete la parabola del figliol prodigo? Un uomo che
ritorna nella propria casa e dimostra una sorta di ingenuità. Non ricorda più
la bellezza dei mobili della sua casa e se ne meraviglia. Io mi sentivo in
questo stato. Avevo riscoperto e riletto le scritture dei Padri della Chiesa e
me ne sorprendevo, e ai cristiani che mi invitavano a tenere delle conferenze ripetevo
quanto non si rendessero conto di essere seduti sopra un tesoro e sentivo che
si trattava di una ricchezza, stupendomi che alcuni di loro avessero perso l’abitudine
di meravigliarsi.
Sono nato in una famiglia abbastanza cattolica, francese e
piccolo borghese, eravamo cattolici per consuetudine non tanto per convinzione.
Sono stato battezzato e ho fatto la prima comunione. Poi intorno ai 17-18 anni
quando sono partito per seguire all’università i corsi di diritto mi sono
completamente disinteressato del cristianesimo, senza aggressività. Non avevo
dei conti da regolare con il cristianesimo. Poco dopo sono diventato
giornalista del quotidiano Le monde.
In quel periodo le questioni religiose non mi interessavano per niente.
Durante la guerra civile libanese le
cose sono cambiate e questo mi ha molto colpito. È stata una guerra spaventosa,
incredibile. Noi giornalisti abbiamo visto nelle strade di Beirut delle scene
di una violenza inaudita. Era inimmaginabile. All’improvviso abbiamo avuto
l’impressione di veder sorgere il male, il Male, con la M maiuscola. Come era
possibile che un cristiano di Beirut potesse diventare l’assassino del vicino
con cui giocava a carte la sera, che conosceva da anni, e il cui unico difetto
era di essere mussulmano. Improvvisamente si poneva una questione
spirituale. Che cos’è il male? Come parlare di questo enigma? Così mi sono reso
conto che il pensiero moderno aveva abbandonato la questione del male. Io sentivo l’esigenza di
confrontarmi con questo enigma…».
Non credo di essere ancora riuscito a pregare. E tutte le volte che parlo di questo mio problema a Francois Solet lui mi risponde sempre in maniera magnifica. Mi dice di non farmi questa domanda, di essere semplice e di rivolgermi al Cristo chiedendogli ciò che ho voglia di domandarmi. Non devo cercare delle formule, una sorta di pedagogia, ma abbandonarmi a Lui con estrema semplicità.
Non credo di essere ancora riuscito a pregare. E tutte le volte che parlo di questo mio problema a Francois Solet lui mi risponde sempre in maniera magnifica. Mi dice di non farmi questa domanda, di essere semplice e di rivolgermi al Cristo chiedendogli ciò che ho voglia di domandarmi. Non devo cercare delle formule, una sorta di pedagogia, ma abbandonarmi a Lui con estrema semplicità.
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