Tanti auguri ci raggiungono in
questi giorni, via sms, mail, facebook, whatsapp, rari, ormai, i cartacei. Frasi
semplici e veritiere, auguri ricercati e profondi, o parole proprie nate dalla
vita. Ognuno si esprime come vuole e come può. Gli occhi scivolano veloci su
quelle righe troppo nutrienti da digerirsi in breve tempo che non rilasciano il
succo del loro significato ma solo il piacevole sapore del ricordo che qualcuno
ha avuto di noi. Tra le tante, ne tengo una emersa dal gruppo: cartolina
natalizia curata ed elegante, carta di qualità con stampata l’immagine della
natività contorniata di brillantini dorati, un foglio bruciacchiato incollato
all’interno con un brano poetico di Rilke sul Natale, e l’augurio personale di
questo mio caro amico che ama sorprendermi e che non so sorprendere.
«Questa notte … il silenzio e la
tensione con cui si inginocchiano pastori e re magi. Proprio questo è il mistero
dell’uomo inginocchiato, dell’uomo profondamente inginocchiato: che è più
grande, secondo la sua natura spirituale, di quello in piedi!» (Rilke, Lettere di Natale). Sembra dire Rilke – paradosso – che a stare in
ginocchio si diventa più alti che stando in piedi. E fulmineo è scattato il
link mentale al bonario faccione di Don Oreste Benzi, che incontrato pochi mesi
prima della sua morte, disse a tanti tra cui ero anch'io: «Per stare in piedi bisogna
stare in ginocchio!». Di più ancora, però, mi ha augurato il mio amico: «Cresci
pian piano fino a raggiungere l’altezza di un bambino».
Non solo inginocchiarsi per
incassare i colpi della vita senza crollare, non solo piegarsi profondamente
per scoprire una dignità ben più grande di quella che possiamo darci noi,
perché data da mani più grandi, ma crescere, lentamente, fino all’altissima
statura di un bambino. Qui si rovescia tutto. Per crescere bisogna decrescere,
per diventare alti bisogna abbassarsi, per essere persone mature occorre farsi
bambini. E il sentore chiaro, ogni volta che questo capovolgimento mentale si
presenta, mi fa esclamare di spaventata gioia: «profumo di Vangelo!».
C’è allora un «mistero dell’uomo
inginocchiato» che dal basso della sua prospettiva raggiunge lo sguardo del
bambino, approda a quella semplicità che, come disse uno scultore rumeno, è
«una complessità risolta». Troppo complessi noi per vedere Dio in un bambino.
Troppi schemi, troppe idee, troppe logiche, troppi ragionamenti e non sappiamo
avvicinarci. Guardiamo dall’alto, con distanza e distacco, i presepi che
visitiamo, non come i bambini che hanno gli occhi a livello della grotta e
vedono quell’evento in presa diretta, e s’accalcano a voler toccare quel
bambino per entrare in quella storia.
È capitato anche
ieri, durante la messa di mezzanotte. Noi sacerdoti, bardati di sacri
paramenti eravamo ritti alla sede. Sotto di noi, poco più a destra, ai piedi
dell'altare, due bambini giocavano liberi col bambino Gesù. Stavano lì, senza
problemi, senza remore né il peso degli occhi addosso, gli si avvicinavamo a
gattoni – «mistero dell’uomo inginocchiato» – si sedevano e lo toccavano, poi si alzavano per tornare subito dopo
da quel piccolo bambino adagiato sulla paglia. Lo guardavano curiosi e felici,
e io guardavo loro con un groviglio di sentimenti in cuore: seccato un po' da
quella prolungata distrazione ma stupito ancor di più della vicinanza immediata
dei bambini al Bambino.
Così l’ultimo link evangelico si è
automaticamente aperto e sia l’augurio natalizio per ciascuno di noi: «se non vi convertirete e non diventerete come
i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo
come un bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18, 3-4). Buon
Natale a voi tutti.
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