di fra Giuseppe Bartolozzi
La preghiera
del cristiano nella sua dimensione più profonda è aderire a Cristo e al suo
Spirito che abita in noi, aderire ai diversi aspetti che componevano la
preghiera del Figlio di Dio fatto uomo: adorazione, lode, azione di grazie,
offerta, intercessione. Consideriamo, innanzitutto, ciò che è riservato
esclusivamente a Dio, l’adorazione: “Adorerai il Signore Dio tuo e a Lui solo
renderai culto”. Questo precetto fu nei secoli la regola fondamentale della
vita privata e pubblica del popolo ebraico e questo precetto trova il suo
compimento in Cristo quando dice: “Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui
i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché il Padre cerca
tali adoratori”(Gv 4, 23).
Che cos’è l’adorazione? È riconoscere Dio in
quanto Dio e Padre. L’adorazione non ha come oggetto qualche attributo o
perfezione di Dio, ma Lui
stesso. Nell’Antico Testamento quando qualche personaggio incontra Dio si
dice: “Egli si prostrò e lo adorò”. Di fronte al Signore risorto Tommaso
esclama: “Mio Signore e Mio Dio”. È questa un’espressione che richiama bene
l’atto di adorazione che si deve compiere nella preghiera del cristiano,
adorazione che ci unisce a quella liturgia celeste di cui ci parla
l’Apocalisse: “Santo, santo, santo il Signore Dio, l’Onnipotente, Colui che
era, che è e che viene”(4, 8). L’adorazione nella preghiera è il riconoscimento
di ciò che ci ha insegnato Gesù: “Dio solo è buono”(Mc 10, 18), cioè santo.
Accanto e insieme
all’adorazione nasce nel cuore del cristiano la lode. Tanti cristiani, non
credendo veramente che sono figli ed eredi di Dio (cf. Gal 4, 7), languiscono nella mediocrità e
nell’ansietà, e quando nella preghiera affrontano il loro Signore spesso è per
mendicare, cioè chiedere, piuttosto che rendere grazie. Non si ha affatto
l’impressione che essi siano “coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria”(Ef 1, 14). Vi è fortunatamente chi
comprende la propria vocazione di lode. E questa lode è di grande valore agli
occhi di Dio poiché vi si ritrovano gli accenti della preghiera di Gesù, del
Figlio suo: “Ti benedico Padre Signore del cielo e della terra”(Mt 11, 25). Questa lode si ritrova anche
nei canti più antichi della Chiesa, come ci testimonia s. Paolo: “Benedetto sia
Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni
benedizione nello Spirito nei cieli in Cristo”(Ef 1, 3).
Quando recitiamo il Gloria nella celebrazione eucaristica
troviamo quest’espressione: “Noi ti rendiamo grazie per la tua immensa Gloria”.
“Noi, cristiani piccolo formato, rendiamo grazie a Dio per i suoi doni, i suoi
aiuti, la sua generosità. Ed anche troppo spesso, come i nove lebbrosi del
Vangelo, ci dimentichiamo semplicemente di ringraziare. Presso i santi è lo
Splendore di Dio, la sua Maestà infinita, la sua Bontà senza misura, che
liberano nel loro cuore le sorgenti dell’azione di grazie. Ciò che li
meraviglia e li appaga non è soprattutto ciò che Dio dona loro, ma ciò che Dio
è. Anche se non ricevessero niente da Lui, la loro lode non sarebbe meno
fervente, la loro felicità non meno al culmine: per il fatto che Dio è Dio.
Questo è sicuramente uno dei sentimenti più puri e più rari. Completamente
disinteressato di sé, spogliato di ogni istinto di possesso, è proprio di
quelle persone che non hanno bisogno di ricevere un beneficio perché in essi
sgorghi la gratitudine: basta loro che qualcosa di buono sia”(Caffarel), cioè che Dio è
ed è Amore (cf. 1 Gv 4, 16).
Gesù ci dice: “Cercate
innanzitutto il Regno di Dio e queste cose vi saranno date in aggiunta”(Lc 12, 31). Potremmo applicare queste
parole alla nostra preghiera in questo modo: cercate innanzitutto la Gloria di
Dio e dite: sia santificato il
tuo Nome, e tutte le altre cose di cui avete bisogno vi saranno date in
aggiunta.
“Che la
preghiera si riduca ad un’attività superficiale che non impegna il nostro io
più profondo è un pericolo permanente. Non sono lontano dal pensare che per più
di qualcuno la preghiera non è che il dolce ronfare di un gatto accanto al
fuoco, mentre per altri è un torrente di parole vuote di sostanza, che si
meritano l’ammonimento di Gesù: Non colui che dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno
dei Cieli. In
effetti si può parlare con Dio senza impegnarsi; ci si può abbandonare a
sottili meditazioni, provare grandi emozioni e non impegnarsi oltre.
Qual è
dunque l’atto interiore che nella preghiera ti farà impegnare il tuo essere più
profondo? Una parola, un verbo definisce questo atto: offrirsi. Sì, fare orazione è prima di
tutto offrirsi a Dio. Tu mi dirai forse: perché non parlare piuttosto di amare?
A dire il vero amare ed offrirsi non separabili: l’offerta è per l’amore ciò
che è il frutto per l’albero. Il lungo paziente, segreto lavoro dell’albero nel
tempo dell’inverno prepara il frutto saporito dell’estate. Così è per l’offerta
di sé, questo frutto d’amore, pazientemente elaborato nel corso di numerose
preghiere, che un giorno, da se stesso, nel tempo dell’orazione, si distacca
nella mano di Dio, tesa per coglierlo.
San Paolo ha trovato una frase meravigliosamente
densa per invitarci a quest’offerta. Vorrei che tu la sapessi a memoria e la
ripetessi lentamente e con grande attenzione all’inizio dell’orazione: Vi esorto, fratelli, per la
misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e
gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (Rm 12, 1). È di estrema importanza acquisire questa disposizione abituale di offerta a Dio e, avendola acquisita, difenderla, mantenerla.
Ora il mezzo privilegiato di acquisire, di difendere, di mantenere questa
disposizione interiore è la preghiera. Solo la preghiera ci avvia verso il dono
permanente di sé a Dio, solo essa ne rinnova e ne attualizza nella vita il
dinamismo. La preghiera è il tempo forte della nostra vita offerta a
Dio”(Caffarel).
Dall’adorazione e dalla lode a Dio, cioè dallo stupore e dalla
gratitudine perché Dio è ed è Amore sgorga nella preghiera l’offerta della
nostra vita a Lui. “Così in tutte le tappe della preghiera è spuntata la riconoscenza. È lei il dinamismo profondo
che porta l’uomo di preghiera ad offrirsi a Dio. Ma diamole ora il suo nome
cristiano: azione di
grazie.
All’amore di Dio che è grazia risponde l’amore dell’uomo che è azione di
grazie. Grazia e azione di grazie, i due poli del dialogo d’amore tra Dio e
l’uomo. Azione di grazie che è certamente ben più delle parole e dei
sentimenti, che è dono e offerta di sé gioiosa e amorosa, senza riserve e senza
ripensamenti”(Caffarel). Potremmo concludere dicendo che ogni preghiera
cristiana è autentica, cioè porta frutto, nella misura in cui ci unisce più
profondamente a quella preghiera di Cristo riferita dalla Lettera agli Ebrei: “Ecco, o
Dio, io vengo per fare la tua volontà”(10, 9).
Nessun commento:
Posta un commento
Lasciate un commento