giovedì 31 ottobre 2019

Ricco, potente e scontento

di fra Damiano Angelucci




Dal Vangelo secondo Luca (19,1-10) – XXXI domenica del tempo ordinario

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

COMMENTO

Ricco, potente e insoddisfatto: questa potrebbe essere la sintesi dello stato d’animo del povero – vale la pena dirlo – Zaccheo. La sua statura fisica viene usata dall’evangelista narratore per richiamare la piccolezza della statura morale o, come si usa dire, della sua piccineria. Zaccheo, ce lo immaginiamo sgomitare tra la folla per incrociare lo sguardo di Gesù, tutto inutilmente, e alla fine tentare la scalata di un sicomoro; proprio lui che la sua scalata sociale l’aveva già vinta in un modo o in un altro, con il relativo successo economico che ne era conseguito.
Ma evidentemente non gli bastava. Ed è qui che Zaccheo inizia a crescere e a diventare grande. Quello che aveva sentito dire di Gesù di Nazaret doveva averlo intrigato, affascinato per colmare quel vuoto nel cuore che né i soldi, né il potere avevano riempito. 
Qui si inserisce la sorpresa della narrazione. Gesù si rivolge a Zaccheo come ad una persona a lui ben nota e gli chiede accoglienza in casa. Come risuonano profondamente vere le parole del nostro Papa Francesco che nel paragrafo n. 3 della Esortazione “Evangelii Gaudium” dice: “Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte” (EG 2). 
Ecco da dove nascono le opere di misericordia: da un incontro con un volto di misericordia da cui ci si sente cercati e amati, un volto alla cui luce si allungano nella coscienza le ombre dei nostri banali raggiri e dei nostri umani espedienti per farci una posizione, certamente assai traballante.
Zaccheo non è un modello per la sua disonestà ma per l’onestà della sua ricerca, della sua domanda di verità, e finalmente, per la sua apertura a chi già lo attendeva a braccia aperte. Le sue elargizioni, la restituzione moltiplicata del denaro ingiustamente sottratto, sono le prove tangibili della conversione del cuore, non un tentativo di comprarsi l’amicizia di Gesù che lo aveva di gran lunga preceduto. Ma i nostri gesti manifestano la gioia di un incontro o sono solo comportamenti da galateo? Avvertiva Don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, deceduto nel 1993: “Se ci dovessero accusare di essere cristiani, rischieremmo di essere assolti … per insufficienza di prove”.

sabato 26 ottobre 2019

Commento al Vangelo della XXX Domenica del TO anno C, 27 ott 2019



 Cultori di Dio o del proprio “io”?

 
TESTO (Lc 18, 9-14)  In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

 
COMMENTO

 
A quale Dio si rivolgono questi due uomini che pregano insieme al tempio? Apparentemente allo stesso Dio, ma se esaminiamo bene i due atteggiamenti potremmo dire che il fariseo sta rendendo un culto non al suo Dio ma a se stesso, al proprio “io”, alla propria immagine di buon osservante della legge ebraica. Egli difende una sua giustizia che presume di meritare per il semplice fatto di osservare delle prescrizioni, ma senza entrare in un rapporto personale col Signore e di contemplazione della bontà del suo cuore di Padre.
L’evangelista difatti racconta questa parabola proprio “per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri”, ed è ovvio che il suo sguardo è diretto proprio ai  farisei ai quali aveva già detto in altra occasione: “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini ma Dio conosce i vostri cuori”.
Anche i profeti dell’Antico Testamento avevano lamentato che la religiosità degli ebrei era troppo esteriore, troppo ipocrita, cioè senza cuore. Pensiamo solo a cosa disse il profeta Isaia (29,13): “Dice il Signore: «Poiché questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani”.
Il culto esteriore, senza un coinvolgimento della vita, significa mettersi sullo stesso piano di Dio, pensare di essere giusti e degni di salvezza come contropartita della propria presunta osservanza della legge. Il pubblicano invece, il peccatore pubblico, sa di non poter contare su meriti propri, entra nel tempio e invoca la pietà, cioè la bontà di Dio. Qui è in gioco la differenza tra due modi di vivere il rapporto con Dio. Quello del fariseo, che parte da se stesso e si riduce all’idolatria del proprio io, perché non tiene per nulla in conto tutto quello che Dio è e ha fatto per lui. Quello del pubblicano che invece parte dalla bontà, dalla pietà di Dio invocata umilmente sulla propria vita.
 Il Signore al termine della parabola mette in guardia ciascuno di noi: “chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”. Per quanto effettivamente i comportamenti e le azioni possono essere diversi, ciò che salva e giustifica sarà sempre l’apertura del cuore al Dio di ogni misericordia, perché dinanzi a tanta benevolenza di Padre ci si dovrà sempre sentire, almeno in parte, gioiosamente in debito!