di fra Damiano Angelucci
Dal Vangelo secondo Luca (4,21-30 ) - IV Domenica del tempo ordinario
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella
sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che
uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma
egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura
te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella
tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene
accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in
Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e
ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato
Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in
Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non
Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si
alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del
monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli,
passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
COMMENTO
Quest’oggi vorrei commentare il brano di Vangelo
dall’angolo visuale di un normale fedele presente nella sinagoga di Nazaret in
quel giorno. Possiamo capire la sua difficoltà ad accettare che quell’uomo così
a lui ben noto fosse veramente il realizzarsi delle promesse del Signore fatte tramite
il profeta Isaia secoli prima; possiamo immaginare che Gesù doveva sembrare
troppo umano ai suoi compaesani.