sabato 28 novembre 2020

S-veglia! Il Signore è vicino

 I Domenica di Avvento/B – 29 novembre 2020


Dal Vangelo secondo Marco (13,33-37)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.

Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati.

Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».



Commento a cura di Emanuela Mori  da Offida (Redazione on line www.legraindeble.it)

Diversi anni fa, mia madre, impegnata in altri servizi, mi lasciò alle poste di una città di provincia per pagare la tassa sull'immondizia che scadeva quel giorno. Era giorno di pensioni e di pagamenti, e le poste erano molto affollate, ma noi dovevamo assolutamente pagarla, non si poteva rimandare.

Entrai nel primo pomeriggio. Dato che l'attesa era lunga, mi misi a sedere vicino ad un'anziana che aspettava il suo turno. Aveva dei biglietti appoggiati su un tavolino davanti a lei. Ogni tanto qualcuno, innervosito, usciva e lasciava un biglietto. L'anziana mi porse un biglietto dal numero più basso di quello che avevo io, mi sorrise e facemmo amicizia. A chi era appena entrato e, sconsolato, riconosceva di avere un numero molto alto, davamo un biglietto con un numero più basso, e il loro sconforto si alleviava.

Così passammo diversi minuti, finché fu il turno della signora, la quale con un sorriso mi salutò e mi lasciò il banchetto con i numeri, che smistavo tra i nuovi avventori dell'ufficio postale. In orario di chiusura, stremata, riuscii a fare la mia commissione, dopo ben tre ore e mezza di attesa. Sarà una idea bislacca, ma da allora paragono il Purgatorio a quel giorno infinito alle Poste...

Sì, Avvento tempo di attesa, sì, restare svegli, ma non senza fare niente aspettando che il tempo passi o maledire il fatto di dover aspettare così tanto alle Poste. Come uso il mio tempo? Per lamentarmi o per fare qualcosa di buono e di bello?

Riempire la vita di gesti di amore verso il prossimo (il traffico di biglietti), di gesti d'amore verso Dio restando lì dove siamo, su quella sedia quel pomeriggio, senza andarcene buttando il nostro biglietto e con esso l'occasione di un incontro. “Restare” nella preghiera anche quando si fa dura. Riconoscere nella nostra vita quegli “angeli” che il Signore manda per insegnarci “come si fanno” i gesti di amore. Angeli che quando se ne vanno sembrano dire: “ora va'... e fa' anche tu altrettanto!”. 

Allora la nostra quotidianità non sarà addormentata e noiosa, ma tutto nella vita ci dirà: “S-veglia! Il Signore è vicino!”.


venerdì 20 novembre 2020

Tutto nel frammento

 XXXIV Domenica del Tempo Ordinario - Solennità di Cristo Re dell'Universo 

                                            22 novembre 2020



Dal Vangelo di Matteo (25,31-46)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 

«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 

Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 

Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 

Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 

Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 

E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».



Commento a cura di Carolina Perfetti da Macerata (redazione on line www.legraindeble.it)


Il Vangelo di questa Domenica conclude il tempo ordinario e ci prepara all’avvento, tempo di attesa, conversione, di trepidante desiderio di andare incontro a Gesù. Μeditare questo Vangelo come ultimo messaggio in preparazione all’avvento è l'ultimo dono prezioso che il Signore prepara per quest'anno liturgico. 

Ecco quindi che Matteo, ci presenta una bellissima visione giudiziale, dove al centro vi è il Figlio dell’uomo descritto come giudice che siede sul seggio del giudizio di fronte a cui si presentano tutte le genti. Così come accade spesso nel Vangelo, il giudizio finale è espresso attraverso una separazione: quella del grano dalla zizzania, dei pesci buoni da quelli cattivi. Dunque, ci viene presentata una visione in cui il Cristo appare come re, giudice di tutta l’umanità. Ricordiamoci, però, che il giudizio universale sarà anche un giudizio personale, un giudizio che si intrattiene con l'anima di ciascuno di noi. Ognuno verrà giudicato non per quanto avrà fatto, ma per quanto avrà amato. 

Mi colpisce che di nuovo l’attenzione del Vangelo sia posta sui piccoli, sugli ammalati, sui poveri, sui carcerati, su tutti coloro che siedono ai confini della città. 

Se pensiamo alla situazione che stiamo vivendo oggi, rifletto su quali sono i poveri per me, e mi chiedo: "A chi mi sta chiedendo di dare da mangiare il Signore oggi? Chi mi chiede di amare?". Un'altra domanda che per molto tempo si annidava nella preghiera, era questa:  "Qual è  l’urlo del regno Dio?"

Mi tormentavo alla ricerca di questa risposta, perché volevo mettermi davvero in gioco con il Signore, poi un’estate mi venne proposta un’esperienza in un centro diurno per minori. Piena di entusiasmo, preparai lo zaino e partii. Il giorno dopo conobbi i ragazzi del centro. Il primo pensiero, influenzata anche dalla mia formazione, fu quello di osservare tutto ciò che questi ragazzi facevano, per poter comprendere i loro bisogni. Ma più andavo avanti, più non riuscivo a capire in che modo li avrei amati di più. Finché un giorno, pregando, compresi che dovevo accantonare la mia parte da educatrice e semplicemente stare con loro. Che rivelazione. Fu davvero stupendo: ridere, giocare, scherzare con questi ragazzi. Parlare di Gesù venne così naturale che pensai che stessi davvero cambiando la storia. Quando arrivò il momento di salutarli, solo in quel momento, compresi davvero ciò che il Signore mi stava dicendo. Non ero stata io a  cambiare il mondo, ma erano stati loro a cambiare il mio. L’urlo del Regno è quello di essere amato, ed è proprio ciò che il Vangelo ci vuole dire. Ciò che avrete fatto al più piccolo di loro, lo avrete fatto a me. Amando quei ragazzi, avevo amato un po’ di più il Signore. 

Il Regno di Dio, la sua totalità, la ritroviamo  nel piccolo frammento della nostra vita quotidiana.


giovedì 12 novembre 2020

Che me ne faccio di un talento?

XXXIII Domenica del TO/A - 15 novembre 2020 




Dal Vangelo di Matteo (25,14-30)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 

«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 

Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 

Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 

Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 

Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 

Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 

Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».


COMMENTO a cura di Benedetta Dui da Iesi (redazione on line www.legraindeble.it)

Un talento che lascia liberi

Dio Padre affida alle nostre mani che sappiamo quanto possano essere incapaci e sporcarsi, i suoi preziosi beni – i talenti appunto - e poi che fa? Rimane lì a controllarci e opprimerci col fiato sul collo? Assolutamente no. Dio si allontana. A prima vista non sembra così logica questa partenza perché Dio non ci ha mica affidato degli scarti o delle cose di poco valore, ma almeno un talento lo ha dato a tutti! E ai tempi di Gesù il talento era un’unità di misura corrispondente a più di 34 kg di argento: qualcosa di prezioso, abbastanza pesante, e sicuramente responsabilizzante. Dunque questa strana partenza ci rivela che Dio si fida esageratamente di noi pur conoscendo i nostri limiti e ci ama al punto da volerci rendere totalmente protagonisti della nostra storia. Liberiamoci della falsa immagine di un Dio-Dittatore che ci obbliga a fare questo e non fare quello, e sigilliamo nel cuore l’esperienza di Dio-Amore che ci chi-ama, ci affida qualcosa di prezioso, un talento, ma poi ci lascia i nostri spazi, rispetta la nostra libertà e unicità.

Un talento che rende unici

E proprio per onorare la nostra unicità, Dio non può fare a tutti gli stessi identici doni. Ecco perché a uno dà cinque talenti, a un altro tre, e a un altro ancora uno. Non è affatto un’ingiustizia! Anzi questa parabola ci fa capire che il punto non è fare i capricci e dire al Signore: “Che ci faccio con un talento solo? Se me ne avessi dati di più, allora sì che avrei fatto tante cose!”. Questa è una lamentela sterile che nasconde pigrizia, malvagità, invidia, oltre che una buona dose di paura. Il punto invece è comprendere che avere tanti talenti vuol dire avere altrettante responsabilità perché “a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà chiesto molto di più” (Lc 12, 48). Il punto è non sprecare i talenti ricevuti, ma partire da quello che c’è nel nostro oggi, non importa se è tanto o poco: infatti se mettiamo a frutto i doni del Signore, li vedremo moltiplicarsi, raddoppiarsi come accade ai servi buoni e fedeli nella parabola. Il punto è metterci in gioco nella vita perché Dio si fida di noi e perché qui sta la chiave per essere santi e pienamente gioiosi.

Per riflettere

Quali sono e dove sono i nostri talenti? Abbiamo anche noi un talento sotterrato in una buca? Che cosa aspettiamo a metterlo a frutto? Stiamo rendendo utile la nostra vita per qualcuno oppure ci nascondiamo per pigrizia, egoismo e paura?


sabato 7 novembre 2020

Olio per far luce...In attesa dello sposo eterno

 XXXII Domenica del TO/A – 8 novembre 2020


Dal Vangelo di Matteo (25,1-13)         

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 

«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. 

A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. 

Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».




COMMENTO di Elisabetta Corsi  da Fermo (Redazione on line www.legraindeble.it)

Assisa nell'eternità. La traduzione letterale del primo versetto del vangelo di questa domenica recita: “Allora il regno dei cieli sarà reso simile a dieci vergini”. In quell’ὁμοιωθήσεται (omoiothésetai), “sarà reso simile”, si dispiega la potenza rivelatrice del Verbo: l’Uomo-Dio, che sta parlando e che per mezzo dello Spirito ricongiunge all’Eterno l’anima umana, in un futuro che diventa presente, per amore “previene quanti lo desiderano”; è la Sapienza precorritrice del tempo, perché assisa nell’eternità.

L’esilio e l’attesaNel moto parabolico di proiezione verso le sponde della salvezza, l’anima umana assiste al resoconto dei suoi chiaroscuri interiori, alla lotta di luce e di tenebre che prepara la sua più profonda essenza all’ὑπάντησιν τοῦ νυμφίου (ypàntesin toù nynfìou), “all’incontro con lo sposo”. Le dieci vergini, esemplificazione dell’integra regalità celeste, sostanziano, dunque, il punto di principio e fine di uno spazio temporale d’esilio e di attesa: conoscono lo sposo, lo attendono, e per riconoscerlo portano con sé delle lampade. Quelle λαμπάδας ἑαυτῶν (lampàdas eautòn) sono loro corredo sostanziale, bagaglio che le vergini hanno preso con sé prima di ogni cosa, dono elargito da Dio in vista dell’“incontro con lo sposo”.

Nel tempio di DioProprio nella cavità di quelle lampade l’anima riconosce se stessa quale tempio di Dio: tempio futuro e presente della “sapienza radiosa e indefettibile” di Dio, ma che ha bisogno di olio per avere luce e per far luce. Le vergini sagge, infatti, “avendo portato con sé le loro lampade”, ἔλαβον ἔλαιον ἐν τοῖς ἀγγείοις, (élabon élaion en tois angeìois), “portarono olio nei piccoli vasi”. Se a livello letterale e meramente concreto riusciamo a comprendere che la lampada non serve a nulla se non perché, per mezzo dell’olio, si possa accendere la luce, cosa indica spiritualmente la necessità dell’olio per far luce?

Aspersi d’olioPer comprendere il significato anagogico della parabola pronunciata dal Verbo, può giungere in nostro soccorso la prima lettura, che dice: “la sapienza facilmente è contemplata da chi la ama”. Allora, affinché il tempio di Dio, la lampada della nostra anima, non cada in un tenebroso e inerte sonnecchiare, ma, nell’attesa, faccia luce sullo sposo e ci permetta di contemplare il suo radioso arrivo, è necessario che i bordi della lampada siano aspersi dell’olio dell’amore e con esso consacrati a Dio. Perché in “piccoli vasi”? È il sentimento dell’attesa e dell’esilio che sostanzia la piccolezza del vaso, perché è difficile per anime create per l’eternità travasare nello stretto pertugio del divenire e nella piccolezza delle situazioni temporali, quell’amore celeste che deve ungere le pareti della nostra terrena esistenza. Ma amare negli stretti vasi di questo nostro esilio è la necessaria eterna via per amare a pieno la vita: via che dobbiamo percorrere per raggiungere il nostro eterno sposo celeste.