sabato 30 gennaio 2021

Nel suo eterno Spirito: l’autorità di Gesù

 

IV Domenica del TO anno B – 31 gennaio 20


TESTO (Mc 1,21-28)

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.

Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.

Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».

La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.




COMMENTO a cura di Elisabetta Corsi da Fermo, redazione on line www.legraindeble.it

Come uno che ha autorità

La quarta domenica del tempo ordinario ci mostra Gesù nel suo essere Maestro. Ἦν γὰρ διδάσκων αὐτοὺς ὡς ἐξουσίαν ἔχων (én gàr didàskon autoùs os exousìan échon). La frase si traduce letteralmente come segue: “Era, infatti, nell’insegnare a loro, come uno che ha autorità”. Il Maestro, scrive Marco, possiede ἐξουσίαν, “autorità”. Ma cosa significa nel profondo questa parola? Il sostantivo proviene dal verbo greco ἔξεστι (èxesti), letteralmente traducibile con “è possibile/permesso”. Ma se interrogassimo più profondamente il lemma, scindendolo nelle sue parti fondamentali, capiremmo ciò che si nasconde e che intarsia preziosamente l’essenza del Maestro secondo le parole del vangelo.


Assieme al Padre e al suo Amore

Il verbo impersonale ἔξεστι è formato dalla preposizione ἔξ- e dal verbo -ειμι, “essere”. La preposizione iniziale viene utilizzata per indicare il ‘moto da luogo’, il punto d’origine da cui la sostanza promana la sua essenza. L’autorità di Gesù si incarna nel suo essere, ma proviene direttamente da Dio, perché Gesù è Dio e nel suo essere Dio profila l’autorevolezza dell’insegnamento. Unto dello Spirito, unico Ente assieme al Padre e al Suo Amore, Gesù insegna la vita e ci ripete ogni volta, con dolcissima forza, che senza di Lui non c’è vita.


Stretta fra le mie braccia

E quella vita che in un sospiro del suo eterno Spirito donava (e dona) la sua Parola muove un sussulto, colpisce profondamente chi ascolta, genera una scossa, una frattura insanabile, primo imprescindibile momento della conversione. Scrive, infatti, Marco: καὶ ἐξεπλήσσοντο ἐπὶ τῇ διδαχῇ αὐτοῦ (kaì exepléssonto epì tè didachè autoù), “e rimasero stupiti per il suo insegnamento”. Il cuore degli ascoltatori di un tempo, in un solo movimento assieme al nostro, riconosce Gesù perché sa che Lui è il suo primo eterno amore. L’anima creata non può non riconoscersi figlia di tale amore, perché se rifiuta la chiamata alla vita, potrà tener stretta fra le sue braccia soltanto la morte.


Dialogo fra la Vita e la morte

E, dunque, subito ha luogo il dialogo fra la Vita e la morte. Lo sguardo di Gesù si posa su un uomo letteralmente “in uno spirito impuro” che subito grida: “Cosa fra noi e Te, Gesù di Nazaret? Vai e lasciaci. Io so chi sei: il santo di Dio”. Lo spirito impuro riconosce la Purezza, lo spirito infernale riconosce lo Spirito di Paradiso. La morte riconosce la Vita e la vita comincia a profilarsi nello spirito  dell’uomo che in sé aveva la morte. Così la morte viene imbavagliata, imprigionata, ammutolita di fronte alla viva presenza del Verbo, del Pensiero, dell’Amore che ci ha creati soltanto perché solo a Lui tornassimo a riabbracciare l’eternità della vita.


sabato 23 gennaio 2021

FRATELLI IN CRISTO


 III Domenica del TO anno B – 24 gennaio 2021


Dal Vangelo secondo Marco (1,14-20) 

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. 

Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.





COMMENTO a cura di Benedetta Dui da Jesi, redazione on line www.legraindeble.it

Il Vangelo della terza domenica del Tempo Ordinario ci presenta lo stesso episodio di domenica scorsa, cioè la chiamata di Gesù ai primi fratelli che diventeranno suoi apostoli, ma raccontato dal punto di vista dell’evangelista Marco. 

Chiamati ad essere fratelli

Giovanni Battista è stato arrestato e Gesù comprende che è arrivato il momento di andare in Galilea ed annunciare il Vangelo: “Il tempo è compiuto”. La cosa più bella è che Gesù non vuole fare tutto da solo, il Regno di Dio non può essere proclamato e basta. Il Regno di Dio va costruito insieme, con Gesù vivo e presente in mezzo alle persone. O meglio, Gesù ha voluto non solo raccontarci a parole il Regno di Dio, ma ci ha anche concretamente mostrato come vivere il Regno di Dio nella quotidianità più spicciola. Quanto spesso, come la prima coppia di fratelli, Simone ed Andrea, ci riempiamo la vita con una serie di azioni, che di per sé sono anche buone come gettare le reti per pescare, ma che sentiamo vuote di senso, prive di amore, senza sapore, profondamente frustranti. Oppure, come gli altri due, Giacomo e Giovanni, ci ritroviamo con in mano delle reti, soprattutto relazionali, che si sono rotte, che abbiamo rotto, forse senza accorgercene, reti che cerchiamo di riparare, che vorremmo riparare ma non sappiamo nemmeno da che parte si inizia. 

“MettiMi in mezzo!”

Ecco, proprio mentre siamo assorbiti dalla routine “getta le reti-solleva le reti”, e mentre siamo confusi e persi nei grovigli dei nostri pensieri più intrecciati delle reti da pesca, Gesù ci chiama a Sé. In realtà, dopo la chiamata, non ci ritroviamo con i nostri problemi di colpo risolti. Dopo la chiamata comincia il nostro cammino, che dura tutta la vita, durante il quale impariamo quella che è la cosa più importante di tutte, cioè saper stare con Cristo, saper vivere la nostra vita con Lui. Come mi ha detto un frate cappuccino qualche tempo fa: “Dio non ha bisogno di noi. Dio ha voluto aver bisogno di noi!”. Ecco perché ci chiama e ci richiama a vivere come fratelli e sorelle uniti nel Suo Nome. E cos’è mai la Chiesa, se non fratelli e sorelle che si vogliono bene in Nome di Cristo? Uno dei doni più belli che il Signore ci ha fatto è averci insegnato che esiste una Fraternità capace di superare i legami di sangue, una Fraternità miracolosamente possibile e realizzabile quando Lui è messo al centro. Mi sembra quasi che Gesù stia sussurrando a ciascuno di noi proprio questo: «MettiMi in mezzo: nei tuoi discorsi, nei tuoi pensieri, nei tuoi gesti, nel tuo studio, nel tuo lavoro, nelle tue relazioni, nelle tue occupazioni anche più materiali e quotidiane: mettiMi in mezzo».

Perché se è vero che non possiamo costruire il Regno di Dio, senza Dio, è vero anche che non possiamo costruirlo con Dio, facendo fuori gli altri. Abbiamo bisogno di Dio e abbiamo bisogno dei fratelli e delle sorelle che Lui ci mette accanto, nell’ottica del dono reciproco: io per te, tu per me.


domenica 17 gennaio 2021

Chi cerca ... viene trovato

 

II Domenica del TO anno B – 17 gennaio 2021

 

Dal Vangelo di Giovanni (1,35-42) 

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

 



COMMENTO a cura di Paride Petrocchi da Offida, Redazione on line www.legraindeble.it

La pericope evangelica della prossima domenica è densa di verbi di movimento: passare, cercare, seguire, venire, andare, trovare. Insieme essi formano una fitta rete di relazioni e di spostamenti: c’è chi segue e chi è seguito, chi è cercato e chi cerca, chi trova e chi è trovato.
Questa annotazione non è di poca importanza perché ci fa intendere che il Vangelo, essendo una buona notizia, si trasmette attraverso una catena di testimonianze, di gesti, di silenzi, di annunci.

Mi colpiscono due scene in particolare: l’incontro tra Gesù, definito da Giovanni l’Agnello di Dio, ed Andrea ed il successivo incontro tra Andrea e suo fratello Simone (che poi sarà Cefa cioè Pietro).

Nel primo momento avviene una dinamica spirituale decisamente affascinante:
i due discepoli attirati dall’annuncio del Battista, si mettono alla sequela Gesù, il Maestro si volta e pone loro una domanda: “Che cercate?”, essi rispondono con un’altra domanda “Maestro dove stai?” e Gesù li invita a venire e vedrete.
Essi stettero (un verbo decisivo nel vangelo di Giovanni) con Lui, un tempo talmente intenso che loro ricordano addirittura l’ora pur essendo passati diversi anni.

Loro pensavano di “trovare” qualcuno invece vengono “trovati” da qualcuno che cambierà la loro vita per sempre. Un gesto di libertà quello degli apostoli che trova una pronta accoglienza da parte di Dio.  

Nel secondo momento, la gioia di Andrea per aver “trovato” il Messia lo fa correre per, dice il Vangelo, “trovare” suo fratello Simone e dargli l’annuncio: “Abbiamo trovato il Messia”.
Anche qui c’è chi cerca per trovare e invece chi è trovato.

Il passo domenicale si arresta qui ma in realtà la catena non si arresta perché l’indomani sarà Filippo ad essere “trovato” da Gesù e – a sua volta – Filippo troverà Natanaele che però era stato visto e quindi “trovato” ancor prima da Gesù.

Cosa ci dice questa semplice sequenza verbale?

Di prendere davvero sul serio la domanda di Gesù: “Che cercate?” perché se siamo in attesa, come i discepoli, del Cristo; lui si farà trovare e, in quel momento, sapremo che da tempo, dall’eternità, noi siamo attesi, cercati e trovati.

Buona domenica e buona ricerca.





venerdì 8 gennaio 2021

Dio umile guarda l'umile

  

Battesimo del Signore – 10 gennaio 2021   

     
Dal Vangelo di Marco (1,7-11)

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».





Commento a cura di Emanuela Mori da Fermo, redazione on line www.legraindeble.it


Ci accingiamo a ritornare nel cosiddetto “Tempo Ordinario”: non un tempo privo di sapore, anzi, ma un tempo in cui il Signore viene a visitare ordinariamente la nostra vita. Lui è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo! (cfr. Mt 28,20). Questa domenica, la Chiesa ci fa leggere il brano del Battesimo di Gesù: inizio della sua vita pubblica, del suo ministero. Prima di compiere qualsiasi opera pubblica, Gesù si mette in fila con noi peccatori: lui, senza peccato, si mimetizza nel nostro mondo di peccatori e pentiti. Ci pensiamo? Tra i tanti volti che incontriamo nelle “file” della nostra vita, nascosto umilmente, c'è quello di Dio.

Gesù non va al Giordano per farsi “lavar via” i peccati, non ne aveva bisogno. Mi piace pensare il contrario: che si sia immerso in quell'acqua torbida delle nostre colpe per prendere su di sé il peso di tutte le nostre cadute, anticipando il momento della sua croce, portandole con sé nella sua carne fino alla Risurrezione. Come quell'agnello che gli ebrei sacrificavano ogni anno, il vero Agnello che prende su di sé i peccati del popolo.

Cristo scende nell'acqua, Cristo risale dall'acqua. Come la discesa dal cielo del Verbo di Dio, e la risalita verso il cielo portando con sé la nostra umanità, come Figlio dell'Uomo. In teologia, si chiama “kènosi” lo “svuotamento” di Cristo, il suo farsi piccolo, il suo scendere verso di noi nell'umiltà del Natale, nella sua incarnazione. Il Natale è ormai alle spalle, ma Dio non smette di incarnarsi, di farsi prossimo, di farsi compagno della nostra vita tutti i giorni, fino alla fine del mondo.

San Paolo ci descrive lo svuotarsi di Cristo con le bellissime parole che recitiamo in un Cantico del Breviario: “Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo […]; umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: 'Gesù Cristo è Signore!', a gloria di Dio Padre.” (Fil 2,6-11).

Dio è umile, ed è l'umiltà la qualità che più attira il suo sguardo su di noi; quell'umiltà che Maria aveva in sommo grado: “ha guardato l'umiltà della sua serva” (Lc 1,48). “Eccelso è il Signore e guarda verso l'umile” (Sal 138,6), “Tu sei il Figlio mio, l'amato”. Che io possa credere in questo sguardo del Padre, che mi guarda come figlia amata, e vivere da vera figlia, in dialogo con Lui. Questo il mio augurio anche per voi, per uno “straordinario” Tempo Ordinario.
Buon cammino!