domenica 18 ottobre 2020

Appartenere per essere liberi

 XXIX DOMENICA DEL TO/A  - 18 ottobre 2020


Dal Vangelo di Matteo (22,15-22)

15 Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16 Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. 17 Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? 19 Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». 21 Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». 22 A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono.


Commento a cura di Marco Raponi da Montecosaro

Da qualche domenica notiamo come i capi dei sacerdoti e i farisei sono particolarmente accaniti contro Gesù, d’altro canto Gesù è quanto mai diretto e tagliente nell’annuncio del Regno e nell’invito alla conversione; il tempo stringe, siamo al cap. 22 di Matteo, e nel cap. 26 poi inizierà il racconto della sua Passione. La radice del peccato va messa ben in evidenza affinché i figli di Dio siano attenti e vigilanti prima della partenza terrena di Gesù. 

Gesù è il veritiero e in questo hanno fatto centro i farisei, ma Gesù sa guardare in faccia a tutti, anche ai peggiori peccatori, perché Gesù non è venuto a condannare ma ad accogliere. Cesare era considerato un grande peccatore dai giudei, ma i farisei che si ritenevano perfetti e si permettono maliziosamente di tentare di incastrare Gesù. Come li avrebbe dovuti giudicare Gesù? Ma Gesù, come dicevamo, guarda tutti con occhi di amore, anzi con più amore i grandi peccatori. Gesù ci guarda dunque in faccia, ma condanna fermamente il peccato, e ci mette in guardia: il peccato porta necessariamente alla insoddisfazione, alla tristezza, al ripiegamento e in conclusione, alla dannazione.

Ecco la domanda palesemente ipocrita e consapevolmente tentatrice: "dato che tu sei il veritiero, vogliamo sapere da te se è giusto essere oppressi o no da tutte queste tasse, ancor più, essere sotto il giogo dei romani". In verità la domanda dei mandatari dei farisei posta a Gesù non è affatto interessata a chiedere un suggerimento su come comportarsi con gli oppressori romani, non è una domanda posta con fede. I farisei erano ricchi e non si interessavano alla condizione del popolo, ricchi di superbia soprattutto, e  amavano farsi vedere ed ammirare dalla gente come coloro che ritenendosi superiori non hanno bisogno di ascoltare qualcuno che possa minare difronte agli altri la loro superiorità, né tantomeno si interessavano di ascoltare la Parola di Verità di Gesù perché estremamente pungente per i cuori mondani.

Gesù in un’altra circostanza aveva parlato di tasse e di tributi da pagare (Matteo 17,24-27); in quella circostanza si rivolge a Pietro in occasione della visita a Cafarnao. I giudei che erano ritornati dall'esilio in Babilonia si impegnarono solennemente nell'assemblea a pagare  la tassa, in quel caso che era per fare in modo che il Tempio continuasse a funzionare e per curare la manutenzione sia del servizio sacerdotale che dell'edificio del Tempio (Neemia 10,33-40). Gesù in quella occasione dice: "da chi vanno riscossi i tributi per il Tempio? Dagli stranieri o dai propri figli?" Pietro risponde: "dagli stranieri". Gesù da una risposta simile anche agli emissari dei farisei: rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare. La lettera ai romani cap. 13,7 dice: Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse date le tasse, a chi l’imposta date l’imposta, a chi il timore il timore a chi il rispetto il rispetto. Gesù va al cuore dell’insegnamento, come sempre non si difende con violenza o attaccando sterilmente chi cerca di toglierlo di mezzo; Gesù ha una Paola di amore, di insegnamento, di accoglienza, di correzione con tutti. Gesù oggi ci dice: "dammi il tuo cuore, del resto usane per quel che è stato predisposto; non ti curare troppo nel trovare un bene o un male assoluto sulle cose del mondo, cura di avere il tuo cuore nel mio. Di chi è il cuore dell’uomo se non di Dio (date a Dio quel che è di Dio.) 

E’ bello vedere lo stupore negli emissari dei farisei, bene o male essi hanno avuto la grazia di ascoltare le parole di Gesù, hanno avuto modo di ascoltare una Parola liberante e benedicente, i farisei invece chiusi nel loro orgoglio restano con il cuore indurito. Se ci pensiamo anche noi dovremmo stupirci di questo Vangelo, a volte ci lamentiamo per le tasse per i servizi scarsi offerti dallo Stato ecc… , ma ci pensiamo mai che quei pochi o tanti soldi con cui paghiamo le tasse sono pur sempre un dono di Dio? Non è forse un dono il poter lavorare? Non è forse un dono avere quella data abilità che ci permette di svolgere il nostro lavoro? Ma soprattutto dov’è il nostro cuore dopo essere usciti da questa chiesa?


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