mercoledì 7 maggio 2014

Pregare è fare di sé un dono d'amore

di fra Giuseppe Bartolozzi


La preghiera del cristiano nella sua dimensione più profonda è aderire a Cristo e al suo Spirito che abita in noi, aderire ai diversi aspetti che componevano la preghiera del Figlio di Dio fatto uomo: adorazione, lode, azione di grazie, offerta, intercessione. Consideriamo, innanzitutto, ciò che è riservato esclusivamente a Dio, l’adorazione: “Adorerai il Signore Dio tuo e a Lui solo renderai culto”. Questo precetto fu nei secoli la regola fondamentale della vita privata e pubblica del popolo ebraico e questo precetto trova il suo compimento in Cristo quando dice: “Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché il Padre cerca tali adoratori”(Gv 4, 23). 

Che cos’è l’adorazione? È riconoscere Dio in quanto Dio e Padre. L’adorazione non ha come oggetto qualche attributo o perfezione di Dio, ma Lui stesso. Nell’Antico Testamento quando qualche personaggio incontra Dio si dice: “Egli si prostrò e lo adorò”. Di fronte al Signore risorto Tommaso esclama: “Mio Signore e Mio Dio”. È questa un’espressione che richiama bene l’atto di adorazione che si deve compiere nella preghiera del cristiano, adorazione che ci unisce a quella liturgia celeste di cui ci parla l’Apocalisse: “Santo, santo, santo il Signore Dio, l’Onnipotente, Colui che era, che è e che viene”(4, 8). L’adorazione nella preghiera è il riconoscimento di ciò che ci ha insegnato Gesù: “Dio solo è buono”(Mc 10, 18), cioè santo. 

Accanto e insieme all’adorazione nasce nel cuore del cristiano la lode. Tanti cristiani, non credendo veramente che sono figli ed eredi di Dio (cf. Gal 4, 7), languiscono nella mediocrità e nell’ansietà, e quando nella preghiera affrontano il loro Signore spesso è per mendicare, cioè chiedere, piuttosto che rendere grazie. Non si ha affatto l’impressione che essi siano “coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria”(Ef 1, 14). Vi è fortunatamente chi comprende la propria vocazione di lode. E questa lode è di grande valore agli occhi di Dio poiché vi si ritrovano gli accenti della preghiera di Gesù, del Figlio suo: “Ti benedico Padre Signore del cielo e della terra”(Mt 11, 25). Questa lode si ritrova anche nei canti più antichi della Chiesa, come ci testimonia s. Paolo: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione nello Spirito nei cieli in Cristo”(Ef 1, 3). 

Quando recitiamo il Gloria nella celebrazione eucaristica troviamo quest’espressione: “Noi ti rendiamo grazie per la tua immensa Gloria”. “Noi, cristiani piccolo formato, rendiamo grazie a Dio per i suoi doni, i suoi aiuti, la sua generosità. Ed anche troppo spesso, come i nove lebbrosi del Vangelo, ci dimentichiamo semplicemente di ringraziare. Presso i santi è lo Splendore di Dio, la sua Maestà infinita, la sua Bontà senza misura, che liberano nel loro cuore le sorgenti dell’azione di grazie. Ciò che li meraviglia e li appaga non è soprattutto ciò che Dio dona loro, ma ciò che Dio è. Anche se non ricevessero niente da Lui, la loro lode non sarebbe meno fervente, la loro felicità non meno al culmine: per il fatto che Dio è Dio. Questo è sicuramente uno dei sentimenti più puri e più rari. Completamente disinteressato di sé, spogliato di ogni istinto di possesso, è proprio di quelle persone che non hanno bisogno di ricevere un beneficio perché in essi sgorghi la gratitudine: basta loro che qualcosa di buono sia”(Caffarel), cioè che Dio è ed è Amore (cf. 1 Gv 4, 16). 

Gesù ci dice: “Cercate innanzitutto il Regno di Dio e queste cose vi saranno date in aggiunta”(Lc 12, 31). Potremmo applicare queste parole alla nostra preghiera in questo modo: cercate innanzitutto la Gloria di Dio e dite: sia santificato il tuo Nome, e tutte le altre cose di cui avete bisogno vi saranno date in aggiunta.

“Che la preghiera si riduca ad un’attività superficiale che non impegna il nostro io più profondo è un pericolo permanente. Non sono lontano dal pensare che per più di qualcuno la preghiera non è che il dolce ronfare di un gatto accanto al fuoco, mentre per altri è un torrente di parole vuote di sostanza, che si meritano l’ammonimento di Gesù: Non colui che dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli. In effetti si può parlare con Dio senza impegnarsi; ci si può abbandonare a sottili meditazioni, provare grandi emozioni e non impegnarsi oltre

Qual è dunque l’atto interiore che nella preghiera ti farà impegnare il tuo essere più profondo? Una parola, un verbo definisce questo atto: offrirsi. Sì, fare orazione è prima di tutto offrirsi a Dio. Tu mi dirai forse: perché non parlare piuttosto di amare? A dire il vero amare ed offrirsi non separabili: l’offerta è per l’amore ciò che è il frutto per l’albero. Il lungo paziente, segreto lavoro dell’albero nel tempo dell’inverno prepara il frutto saporito dell’estate. Così è per l’offerta di sé, questo frutto d’amore, pazientemente elaborato nel corso di numerose preghiere, che un giorno, da se stesso, nel tempo dell’orazione, si distacca nella mano di Dio, tesa per coglierlo. 

San Paolo ha trovato una frase meravigliosamente densa per invitarci a quest’offerta. Vorrei che tu la sapessi a memoria e la ripetessi lentamente e con grande attenzione all’inizio dell’orazione: Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (Rm 12, 1). È di estrema importanza acquisire questa disposizione abituale di offerta a Dio e, avendola acquisita, difenderla, mantenerla. Ora il mezzo privilegiato di acquisire, di difendere, di mantenere questa disposizione interiore è la preghiera. Solo la preghiera ci avvia verso il dono permanente di sé a Dio, solo essa ne rinnova e ne attualizza nella vita il dinamismo. La preghiera è il tempo forte della nostra vita offerta a Dio”(Caffarel). 

Dall’adorazione e dalla lode a Dio, cioè dallo stupore e dalla gratitudine perché Dio è ed è Amore sgorga nella preghiera l’offerta della nostra vita a Lui. “Così in tutte le tappe della preghiera è spuntata la riconoscenza. È lei il dinamismo profondo che porta l’uomo di preghiera ad offrirsi a Dio. Ma diamole ora il suo nome cristiano: azione di grazie. All’amore di Dio che è grazia risponde l’amore dell’uomo che è azione di grazie. Grazia e azione di grazie, i due poli del dialogo d’amore tra Dio e l’uomo. Azione di grazie che è certamente ben più delle parole e dei sentimenti, che è dono e offerta di sé gioiosa e amorosa, senza riserve e senza ripensamenti”(Caffarel). Potremmo concludere dicendo che ogni preghiera cristiana è autentica, cioè porta frutto, nella misura in cui ci unisce più profondamente a quella preghiera di Cristo riferita dalla Lettera agli Ebrei: “Ecco, o Dio, io vengo per fare la tua volontà”(10, 9).

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