di fra Damiano Angelucci
Dal Vangelo secondo Luca (10,25-37) - XV Domenica del tempo ordinario
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e
chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli
disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai
il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la
tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse:
«Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù
riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei
briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono,
lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima
strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo,
vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto,
vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite,
versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un
albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li
diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te
lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di
colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto
compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
COMMENTO
Quel
passare oltre lascia l’amaro in bocca, perché ha il sapore molto più di una
trascuratezza del cuore che di un cambio di strada di fronte ad un impaccio. Il
passare oltre l’uomo che ci interpella è sempre pieno di rischi, perché
significa passare oltre l’umano che chiede di essere esaudito nelle più
elementari domande di soccorso fisico, ma anche di aiuto e sostegno morale, di
supporto affettivo, di vicinanza nei mille e mille dolori della vita. Il
passare oltre significa perdere l’occasione di incontrare nell’uomo che tende
la mano la presenza del Signore che si è fatto mendicante del nostro cuore,
delle nostre cure.
Questo
veramente ci dovrebbe interpellare: il Signore Gesù , pur di non venire con
violenza nella nostra vita, pur di non imporre il suo essere Dio e Signore
della storia, si fa mendicante, e dal trono della povertà del più ultimo tra
gli ultimi implora di aprire il cuore alla compassione, alla misericordia.
Tutto ciò dovrebbe sconvolgerci e ribaltare le nostre aspettative riguardo alla
possibilità di far esperienza di Dio. Lui si fa uomo, e non uomo qualunque, ma
ultimo degli ultimi, perché la nostra risposta alla sua salvezza sia totalmente
libera e gratuita.
Gli
specialisti del sacro, i sacerdoti del tempio di Gerusalemme, i leviti, e
quindi anche il dottore della legge che vorrebbero
mettere alla prova Gesù, sono invitati ad abbassarsi alla nuova strategia di
Dio, a non cadere nel tranello dell’apparente insignificanza della marginalità
sociale dei poveri.
San
Francesco intuì il segreto della scelta presenza di Cristo negli ultimi; lo
intuì , lo abbracciò in quei lebbrosi, ultimissimi tra i più poveri, ma trovò
la “dolcezza per l’anima e per il corpo” che tutte le altre cose del mondo non
gli avevano dato. Ecco la saggezza dei piccoli. Facciamo attenzione a non
passare mai oltre i meravigliosi segni che il Signore ci lascia in tante
scintille di umanità dimenticata e trascurata.
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