di fra Damiano Angelucci
Dal Vangelo secondo Luca (17,5-11 ) - XXVII domenica del tempo ordinario
In
quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il
Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a
questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi
di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando
rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto:
“Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò
mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso
quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così
anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite:
“Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
COMMENTO
Un
granello di senape: tanto piccola potrebbe essere la nostra fede per poter
vedere addirittura sradicato un albero e trapiantato in mare. Gesù parla per
assurdo, non perché la fede non possa realmente fare meraviglie ma perché lo
sradicamento di un albero normalmente non serve al bene di un uomo, e se per
assurdo servisse anche questo, Dio lo farebbe. Cosa serve realmente al bene
dell’uomo, cosa giova alla sua felicità, alla sua pienezza? I versetti successivi
ci annunciano la ricompensa più bella della nostra vita, quella di essere al
servizio del Bene, del Regno di Dio, delle forze dell’amore di Dio che alla
fine prevarranno sul male ma che richiedono la nostra collaborazione. In questa
lotta l’uomo trova la sua più bella ricompensa nell’essere semplicemente a
servizio di Dio.
A
noi la parola servo suona decisamente male e fastidiosa; ci trasmette un senso
di svuotamento, di perdita di dignità e di privazione della minima libertà, ma
nella mente di Dio essere servi significa essere al vertice della piramide.
Gesù dice in un altro passo: “Io non sono venuto per essere servito ma per
servire e dare la vita in riscatto per molti”. Gesù adempie le profezie di
Isaia che annunciò circa 5 secoli prima la nascita di un servo sofferente. Ecco
la Gloria di Gesù: accettare di manifestare l’amore misericordioso di Dio Padre
fino ad accettare umiliazione e incomprensione, per poi entrare nella vittoria
finale della risurrezione.
Il
nostro essere servi esige riconoscere anzitutto la bontà, la bellezza della
vita secondo l’insegnamento e l’esempio di Cristo Gesù. Nell’atto di amare in
Cristo, donando tutto il nostro essere a Dio e al prossimo, si trova il senso
più profondo della propria esistenza e il sentiero verso una felicità
inattaccabile. Ci può essere una ricompensa più grande di questa? Una
ricompensa più grande del trovare il senso del proprio posto nel piano di Dio,
chiamati a trasmettere la misericordia del Padre ai nostri fratelli? E qui
ritorniamo al punto d’inizio: dobbiamo avere fede nell’immenso amore di un
Padre che nutre e custodisce costantemente il suo popolo, che non ci volge mai
le spalle anche quando noi le volgiamo a Lui; un granellino di questa fede ci
permetterà di vedere i miracoli della sua longanimità e farà sentire la gioia
dell’essere semplicemente a servizio di questa infinita storia d’amore!
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