sabato 11 aprile 2020

OSARE LA SPERANZA

Commento al vangelo di Pasqua, 12 aprile 2020



Dal Vangelo di Giovanni (20,1-9)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».

Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.

Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti





COMMENTO a cura fra Damiano Angelucci da Fano

Il racconto del ritrovamento della tomba vuota e le apparizioni di Gesù ci fanno capire immediatamente la differenza tra questa risurrezione e quella di Lazzaro che giustamente andrebbe piuttosto definita “rianimazione”, nel senso di un ritorno alla vita precedente. In quella situazione Gesù invitò Lazzaro ad uscire dal sepolcro ed egli apparve “con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario” (Gv 11,44). Qui è Gesù stesso, nel pieno della sua potenza divina ricevuta dal Padre, che rivela la sua capacità di donare e riprendersi la vita (cfr. Gv 10,18).

Gesù è Signore della vita. Il suo passaggio dalla morte alla vita, testimoniato e attestato dai racconti evangelici, fonda la nostra speranza di un destino che va al di là della morte, che non è più dunque la parola fine della nostra vicenda personale.

Ma c’è qualcosa di più; proprio per il fatto che Gesù non torna alla vita di prima ma entra in una vita nuova, glorificata, in cui il suo corpo ora sfugge ai limiti del tempo e dello spazio - e infatti lo vediamo apparire e riapparire improvvisamente, e entrare a porte chiuse nel cenacolo – noi condividiamo la speranza di un futuro diverso, nell’eternità, con Cristo risorto, così tanto diverso che lo stesso evangelista Giovanni parla di questo mondo nuovo come di una Gerusalemme celeste, in cui non ci saranno più né pianto, né lacrime, né lutto (cfr Ap. 21,4).

Vi faccio dunque due augurii. Il primo è che la Solennità di Pasqua non si esaurisca nel ricordo di un evento del passato, come fosse un qualcosa che è successo unicamente a Gesù di Nazaret ma che non tocchi la mia vita qui ed ora, in tutte le sue fatiche e nelle sue contraddizioni, e nella prospettiva dell’eternità. Che la celebrazione del Signore risorto, pur nell’estrema sobrietà delle nostre liturgie domestiche, ridesti la coscienza della sua presenza, viva, viva!, in mezzo a noi. 

Il secondo augurio è che l’esperienza della Pasqua di Cristo, del passaggio di Cristo dalla morte alla vita, ispiri alle nostre anime, in questa situazione di pandemia, una speranza ben più ardita di un semplice ritorno alla normalità. No! Sarebbe accontentarsi di troppo poco. Dobbiamo anzi sperare di progredire: progredire verso un nuovo modo di essere, di vivere, di abbracciare il mondo in cui viviamo, di custodire le relazioni affettive e i legami familiari, di impostare le relazioni economiche. Papa Francesco ci ha detto che non potevamo illuderci di continuare a vivere sani in un mondo malato. Ebbene, che dopo questo tempo di prova, tutti noi siamo capaci di fare un passo avanti, più liberi da tante vecchie ed inutili schiavitù.

venerdì 3 aprile 2020

L'ultima prova

Domenica delle Palme, anno A – 5 aprile 2020 -


Dal Vangelo secondo Matteo (versione abbreviata  27,38-54)

In quel tempo insieme a Gesù vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.

Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.

A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.

Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».


 


COMMENTO
 
Il Vangelo della prima domenica di Quaresima ce lo aveva preannunciato: dopo aver, invano, tentato Gesù dicendo a più riprese … “se tu sei figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane” oppure “se tu sei figlio di Dio, buttati giù”, il diavolo si allontanò da Gesù per ritornare al tempo fissato.
Eccoci dunque al tempo fissato, proprio gli ultimi istanti della vita di Gesù sulla croce, e questa volta il diavolo parla per il tramite degli uomini che nella loro durezza di cuore ne sono, spesso e forse involontariamente, i porta-parola.
 

Ci sono proprio tutti a rimproverarlo: i capi religiosi e i massimi interpreti delle sacre scritture - cioè gli scribi -, quelli che passavano di lì, e addirittura i due condannati morte con lui. Matteo non ci racconta a differenza di Luca la conversione di uno dei due.
“Se tu sei figlio di Dio, salva te stesso e scendi dalla croce!”. Una provocazione volta ad ottenere la prova decisiva delle pretese di Gesù di essere proprio quello che diceva di essere: figlio di Dio. Una provocazione la cui eco, a dire il vero, si estende a tutta la storia della cristianità fino ai giorni di oggi e che risuona costantemente ogni qual volta il dolore o le sventure sembrano insopportabili, a volte gridato dagli stessi figli della Chiesa. Cosa sta facendo Dio in questa situazione? Perché il Signore Gesù non offre la prova decisiva, sconfiggendo la morte, o sconfiggendo l’ingiusta condanna contro di lui e contro tutti gli innocenti della storia?
 

Gesù, in realtà, dimostra di voler vincere il male e la morte in maniera molto più radicale, estirpando la radice di quel male a cui non c’è rimedio, che è la morte eterna; e la radice di esso è la mancanza di fede in Gesù, il Signore della vita.
 

Il 27 marzo scorso Papa Francesco ha sollecitato i cristiani di tutti il mondo a riflettere sul racconto evangelico di Gesù che dorme nella barca sbattuta dalle onde e che appunto viene svegliato e rimproverato dagli apostoli: “maestro non ti importa che noi moriamo?” Lascio spazio alle sue parole che, a mio parere, saranno indissolubilmente legate alla memoria di questa epocale pandemia. Cito:
 

L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai”
 

E rivolgendosi al Signore in una preghiera accorata, il Papa aggiunge:
 “Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri”.
Con queste parole di Papa Francesco, vi do appuntamento a Domenica prossima, Solennità di Pasqua!

sabato 28 marzo 2020

Il Signore della vita

V Domenica di Quaresima, anno A - 29 marzo 2020


Dal Vangelo di San Giovanni             
(Forma breve: Gv 11, 3-7.17.20-27.33b-45)

In quel tempo, le sorelle di Lazzaro mandarono a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!».


Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Marta, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
 

Gesù si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
 

Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.



 




COMMENTO (a cura di fra Damiano Angelucci)
 

Vi ricordate la risposta di Gesù nel Vangelo di Domenica scorsa, quando di fronte al cieco nato gli viene chiesto se quella disgrazia gli fosse toccata a causa dei suoi peccati o di quelli dei suoi genitori? Gesù risponde che “né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”.
 

Qualcosa di simile Gesù lo dice anche nell’episodio evangelico di oggi riguardo la malattia di Lazzaro: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il figlio di Dio venga glorificato”.
 

In realtà Gesù sapeva che Lazzaro sarebbe morto di lì a poco, tanto che quando due giorni dopo, decide di andare in Giudea, da Lazzaro, dice apertamente ai discepoli che Lazzaro si era addormentato e l’evangelista rimarca che “Gesù parlava della morte di lui”.
 

Questo della risurrezione di Lazzaro, che in realtà è un ritorno alla vita naturale e quindi da tenere ben distinta dalla risurrezione di Gesù, è l’ultimo segno che Gesù compie nel racconto del Vangelo di Giovanni prima della sua passione-morte. È il segno decisivo che significa la sua signoria sul mondo, e quindi anche sulla morte, e di conseguenza significa la sua divinità.

La capacità di restituire Lazzaro all’affetto dei suoi amici e soprattutto delle due sorelle testimonia l’autorità di Gesù sulla vita e sulla morte, perché egli ha la medesima autorità del Padre, proprio come dice qualche versetto prima: “Io e il Padre siamo uno!” (Gv 10,30). Per questa ragione quella malattia non era per la morte ma perché il Figlio di Dio venisse glorificato, cioè manifestato agli uomini”. E quando gli uomini riconoscono la presenza del Figlio di Dio in mezzo a loro, nella persona di Gesù di Nazaret, essi hanno già vinto la morte e hanno già messo un piede nella vita eterna. Ricordiamo quel passaggio, sempre nel Vangelo di Giovanni in cui Gesù dice “In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. (Gv 5,24).


Per Gesù quella morte di Lazzaro fu l’occasione di manifestare ed annunciare al mondo che anche la morte, massima e peggiore conseguenza della caducità umana, non è una parola tombale sul destino dell’uomo. 


Essa resta una realtà oggettiva e alquanto dolorosa, e ne facciamo una tristissima esperienza in questi giorni, ma per chi ha fede nel Signore - Cristo Gesù, rimane sempre e solo un passaggio: traumatico e drammatico, ma pur sempre un passaggio. Le lacrime di Gesù davanti alla tomba dell’amico Lazzaro dicono la sua compassione con il dolore e le lacrime di tutti gli uomini, di tutti i tempi, anche di questi giorni; ma per il fatto stesso di aver condiviso tutto il nostro dolore, egli ci condivide anche la sua stessa speranza e la sua stessa gloria divina, che ha già brillato nella sua resurrezione e Ascensione, e che brillerà anche nella nostra resurrezione e in quella dei nostri cari, alla fine dei tempi.


venerdì 20 marzo 2020

Vide e credette



IV Domenica di Quaresima, anno A - 22 marzo 2020

Dal Vangelo secondo Giovanni (Forma breve:  9, 1.6-9.13-17.34-38)

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita; sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.




COMMENTO a cura di fra Damiano Angelucci


 È un itinerario spirituale quello del cieco nato: un passaggio dall’infermità fisica alla piena salute e più ancora, ed è questo il vero punto d’arrivo, alla salute spirituale, cioè alla visione della fede. Infatti il racconto dell’evangelista Giovanni non si poteva arrestare con il recupero della vista da parte di quest’uomo, avvenuta per altro in giorno di sabato e quindi con grande scandalo dei farisei, ma doveva completarsi in quell’atto di fede uscito dalle labbra dello stesso uomo:
 Gesù gli chiede: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

 Questa è la guarigione che Gesù è venuto a portare, in funzione della quale certamente egli pone diversi miracoli, o segni come preferisce chiamarli l’evangelista Giovanni che in tutta la sua opera ne racconta esattamente sette. Il recupero della vista ha permesso all’uomo di guardare e di vedere Colui che gli stava rivolgendo la parola e che voleva donargli la luce vera, la luce della Grazia di Dio.

Possiamo concludere riconoscendo in tutto questo un itinerario che riguarda la vita di ogni uomo e di ogni credente. Il riconoscimento e l’ascolto della parola di salvezza che proviene dal Signore Gesù, dal Messia, apre un sguardo diverso, nuovo, sulla realtà della propria vita. La parola del Signore giunge a noi uomini attraverso il fango e la limitatezza di un’umanità in cui tuttavia Egli ha deciso di porre la sua dimora; se accolta con fede, questa parola diventa luce nel cuore dell’uomo e non sono più gli occhi del corpo a vedere, ma gli occhi del cuore, capaci di riconoscere in ogni frangente la presenza spirituale eamica di Gesù di Nazaret-salvatore, lui che di fatto ci apre le porte della vita eterna. Chiediamo al Signore uno sguardo di fede, perché solo in questo sguardo è possibile intravedere una prospettiva di luce anche in un contesto così difficile e oscuro, come quello che stiamo vivendo in questi giorni.





sabato 14 marzo 2020

Il tempio di Dio che siamo noi-Chiesa

Commento al Vangelo della III Domenica di Quaresima, anno A - 15 marzo 2020




 



TESTO (Forma breve: Gv 4, 5-15.19b-26.39a.40-42)

In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. 

Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua. Vedo che tu sei un profeta! 


I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità».
 

Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui. E quando giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
 


COMMENTO
 
Il dialogo tra Gesù e la donna samaritana è molto ricco di riferimenti e di agganci ad altri momenti centrali del Vangelo. Il dialogo avviene a mezzogiorno e un Gesù stanco chiede da bere: la stessa domanda, alla stessa ora, Gesù la fece nel giorno della sua crocifissione. E poi la donna samaritana, che stava vivendo per la sesta volta una relazione quasi-nuziale ma che nuziale non era, perché quell’uomo, come le profetizza Gesù, non era suo marito; c’è un evidente richiamo alla festa di nozze di Cana con le sei giare di acqua che grazie alla presenza di Gesù diventano vino e “salvano” una festa ormai compromessa. Simbolicamente e quindi nella realtà, Gesù è il settimo uomo della samaritana, il suo vero sposo, l’unico che poteva portare pienezza al suo cuore inquieto, l’unico che poteva dissetare in lei un’evidente sete d’amore che fino a quel momento era rimasta insoddisfatta. Gesù che chiede da bere, proprio Lui, chiede a noi il permesso di dissetarci, di darci un’acqua per la quale non avremo più sete in eterno. 


La donna samaritana è la figura della nostra chiesa, un popolo visitato dall’Alto e che, corrispondendo all’amore del suo Sposo-Signore, potrà finalmente vivere in Lui e adorarlo in ogni momento. Infatti Dio è spirito, dice Gesù, non perché sia evanescente o non concreto, come spesso noi pensiamo di ciò che è spirituale, ma perché egli abita la comunione del suo corpo, che è la Chiesa, con la forza del suo Spirito d’amore. Dio che è comunione trinitaria d’amore, si dona a noi per permetterci di vivere la medesima esperienza; e questo è proprio ciò che avviene nelle nostre relazioni ecclesiali, se sono improntate all’amore fraterno.
 

Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità. Non si tratta più di un luogo fisico privilegiato, fosse anche il tempio di Gerusalemme – fino a quel tempo unico luogo di culto ufficiale – perché dalla Pasqua di Cristo in poi, grazie a Lui e in Lui possiamo adorare e chiamare Dio “Padre” in ogni luogo della terra. Sono i vincoli di amore fraterno e non più le mura di un tempio, a custodire “il luogo sacro” in cui Cristo-vivo si rende presente.
 

Cari amici, più che mai in questi tempi, custodiamo vivi legami di carità e quindi di comunione con i nostri fratelli in Cristo. Le nostre celebrazioni, che pur ci mancano, a questo sono ordinate: a farci vivere sempre più in comunione con Cristo e i fratelli. Ora, anche tramite i nostri pastori e lo loro direttive, il senso di comunione ecclesiale ci chiede di vivere l’amore fraterno, la comunione in Cristo, in modo assai particolare. Ma è la comunione e lra carità, il fine di tutto, perché la carità non avrai mai fine! (1 Cor 13,8).

sabato 1 febbraio 2020

Sotto la guida dello Spirito


Festa della Presentazione del Signore – 2 febbraio 2020 -

 

Testo (Lc 2,22-32)

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
 

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».

 

COMMENTO
 

La vicenda del giusto Simeone sembra tutta guidata dalla mano dello Spirito di Dio, e l’evangelista Luca lo sottolinea per ben tre volte: lo Spirito Santo era su di Lui, lo Spirito Santo gli aveva preannunciato, lo Spirito Santo lo sospinse ad andare al tempio nello stesso momento in cui genitori di Gesù stavano andando ad offrire ritualmente il loro figlio.
Simeone è un uomo che guardava nella direzione giusta, che si lasciava accompagnare  e sebbene non ci venga detto che fosse particolarmente anziano, tutto fa capire che la sua vita era ormai in età avanzata e che c’era nel suo cuore solo quell’ultimo desiderio di poter vedere il “conforto di Israele” cioè il Messia, “luce per illuminare le genti, e gloria di Israele”.
 

Non sappiamo neppure quando Simeone sia di fatto morto, se molto o poco tempo dopo l’incontro col bambino Gesù; ma le sue parole rivelano che la sua vita era giunta ora al compimento, al riempimento delle attese e dei suoi desideri.
 

Se nella festa odierna la liturgia celebra la presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme, giova a noi ricordare che la presenza del Signore potrà divenire anche per noi motivo di grande gioia e di pienezza di vita, a condizione che il nostro cuore sia alla ricerca: non necessariamente di Dio, ma comunque alla ricerca di verità, di giustizia, di vita, di tutto ciò che, in senso ampio, è veramente bello. Nessuna risposta potrà infatti mai saziare un cuore che non ha domande.