lunedì 22 aprile 2013

Generare

di Agnese Galatolo


È nella natura della ragione umana interrogarsi su questioni che vanno oltre la condizione umana. Una domanda filosofica ed esistenziale che ci accompagna nel corso della nostra vita sin da quando siamo bambini è: «da dove siamo venuti?»
La fatidica domanda a cui tutti i genitori si preparano per non essere colti alla sprovvista dalla prorompente curiosità del loro bambino. Le varie versioni date finora (la cicogna, il cavolo, il raggio di sole che colpisce la pancia della mamma, ecc.) non mancano certo di originalità, ma crescendo il bambino le troverà poco credibili e tornerà a porsi e a porre la stessa domanda.
Oggigiorno l’educazione sessuale viene fatta già nelle scuole primarie, perciò presto verrà a conoscenza della risposta data dalla scienza, che gli sembrerà senza dubbio molto credibile. La sua mente, già alla ricerca di spiegazioni razionali, si sentirà compiaciuta nello scoprire che l’essere umano viene da un ovulo che è stato fecondato da uno spermatozoo e si è depositato nell’utero materno. Ne rimarrà stupito e affascinato, o magari divertito, ma non ne dubiterà.
Potrà allora sentirsi soddisfatto, considerare risolto l’enigma? Sapere questo gli basterà? Basterà a spiegare quello che l’animo del bambino, poi ragazzo e poi uomo, coglie della Vita, forza universale, quel senso di mistero e sacralità che lo spingerà alla continua ricerca di un senso? Potrà rassegnarsi a credere che la bellezza e l’unicità di ogni essere umano, che il desiderio di infinito e la ricerca del trascendente connaturati a ciascuno di noi vengano da un ovulo? Potrà convincersi che l’uomo non sia altro che il frutto di un mero meccanismo riproduttivo? Non penserà invece che ci sia qualcosa che va oltre e che è origine di tutto?
Sant’Agostino, ne Le Confessioni (libro primo), si rivolge a Dio chiedendo: «Una creatura così complessa da dove poteva venire, se non da te, o Signore?» Ci sembrerà strano, ma dobbiamo rinnegare le nostre pretese razionalistiche per trovare la vera risposta in quello che è più di un mito:
«Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.”»
È il versetto 27 del primo capitolo della Genesi. “Genesi” è il sostantivo del verbo “generare”, che significa “dare vita”. La Genesi racconta, in forma di mito, come Dio ha dato vita al mondo.
Sant’Agostino, sempre ne Le Confessioni, così prosegue: «C’è mai stato qualcuno che si sia fatto da se stesso? Che forse esiste un’altra sorgente che faccia scorrere in noi l’essere e il vivere, oltre il tuo agire in noi, o Signore?». Nessuno può e vuole negare che esista un sistema riproduttivo, che un bambino nasca da un ovulo fecondato; ma l’umanità non si è fatta da sola, non viene da se stessa. Essa viene da Dio, e a Dio ritorna. Dio è la causa prima e finale di tutto, in termini aristotelici. Ma il dio di Aristotele, filosofo greco del IV secolo a.C., è un “motore immobile”, perché muove senza essere mosso a sua volta da altre entità, ma anche perché ha creato e dato moto al mondo, vi ha stabilito delle leggi fisiche, e poi ha lasciato che esso proseguisse nel suo movimento senza intervenire in alcun modo. 

Non è questo il Dio in cui noi cristiani crediamo. Noi crediamo in un Dio che è sempre presente nel mondo, il cui Spirito agisce nelle menti degli uomini, le illumina e le ispira affinché compiano la Sua volontà. Crediamo in un Dio che si è fatto uomo ed è morto per noi, per la nostra salvezza. In un Dio che non solo ci ha generati una volta con la creazione, ma ci ha generati una seconda volta con l’incarnazione, la passione e la risurrezione del suo Figlio Unigenito. Dopo il peccato originale, Dio ha mandato nel mondo Gesù, il Nuovo Adamo, perché gli uomini fossero redenti e ritornassero alla vita, perché avessero la vita eterna in Dio.
«In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (Gv 5, 24).
Tuttavia, come disse Sant’Agostino («Egli che ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te»), Gesù ha salvato l’intera umanità, l’ha rigenerata, ma lascia a ciascuno di noi la libertà di dire o no il nostro “sì” personale alla salvezza, alla vita. Lo stesso Giovanni, nel prologo del suo Vangelo, mette in evidenza che è condizione necessaria per la nostra salvezza e rigenerazione che noi scegliamo di essere salvati e rigenerati, ovvero che scegliamo di accogliere Lui:
«Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.» 
Cosa significa questo? Significa soltanto che avremo la vita eterna, che dopo la morte avremo la nostra ricompensa per aver creduto in Lui e compiuto la Sua volontà? No, non significa “soltanto” questo. Credere in Dio significare sperimentare il Suo immenso amore e vivere la vita vera anche su questa terra. 
Mi viene in mente una canzone di Paolo Vallesi del 1992, “La forza della vita”, il cui ritornello dice: «Quando toccherai il fondo con le dita, a un tratto sentirai la forza della vita, che ti trascinerà con sé». Quella forza della vita per me è sempre stata Dio: se ti affidi a Lui, anche se ti trovi di fronte a prove enormi, anche se stai passando sofferenze indicibili, sentirai di aver toccato il fondo con le dita, ma non ti ci accascerai, non rimarrai lì abbattuto, perché Lui ti prenderà per mano, ti farà rialzare e ti porterà in braccio, mostrandoti il senso e la bellezza della vita. Questa è la vita vera, questa è la letizia.

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