lunedì 3 giugno 2013

Ascoltare

di fra Filippo Caioni



Ascoltare, voce del verbo “obbedire”. Lo so, la parola obbedire non piace, a dire il vero è un po’ passata di moda. Oggi siamo nell’epoca dell’uomo che non deve chiedere mai, quello che basta a se stesso. Concetti come quello di obbedienza fanno sicuramente storcere il naso. Eppure il verbo ascoltare, nella Sacra Scrittura, ha sempre questa valenza, cioè quello di un ascolto che diventa operativo, che si incarna in scelte concrete, che diventa obbedienza, insomma.


Un giorno “mentre Gesù parlava – racconta il vangelo di Luca – una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». Ecco, appunto! Maria viene lodata da Gesù perché ha ascoltato la Parola di Dio e l’ha osservata. L’ha sentita con l’udito, l’ha fatta sua custodendola nel proprio cuore, l’ha tradotta in obbedienza, cioè in fede!

Ascoltare – obbedire – credere. La trama si infittisce! Credere si può se si ascolta e se si obbedisce, cioè se si ha il coraggio di pensare a se stessi a partire da quello che Dio vuole, di subordinare le proprie scelte alle Sue, i propri progetti ai Suoi, se si diventa capaci di ascoltare Dio e di dirgli: “io sono Tu che mi fai”, la mia persona si struttura attorno alla Tua Parola, anzi la “forma” stessa della mia vita si costituisce proprio attraverso l’ascolto della Tua Parola, l’unica – fra tante – che vuole il mio vero bene, la vera pienezza della mia vita.

Ascoltare, allora, significa sottomettere (un’altra parola fastidiosa) il cuore a Dio! Fino a quando non saremo profondamente convinti che il Dio di Gesù Cristo non è nemico della nostra felicità e della nostra gioia, non saremo mai capaci di ascoltare come ci chiede la Scrittura. In teoria lo sappiamo, più o meno, che le cose stanno così, lo sentiamo che stanno così… ma in pratica? In pratica (è inutile nascondersi dietro ad un dito) preferiamo ascoltare noi stessi, il nostro cuore, i nostri progetti, relegando Dio ad essere un complemento d’arredo nella nostra vita, cioè un accessorio che ci può tornare utile, che abbellisce la nostra vita, ma non la determina! Quando non ascoltiamo Dio, quando questo ascolto non diventa obbedienza, non è che siamo liberi, no! Diventiamo piuttosto schiavi di noi stessi, delle nostre voglie, dei sentimenti del momento. Ma forse tutti abbiamo fatto esperienza di come sia difettoso il nostro cuore…  forse tutti sappiamo che non possiamo fidarci di noi stessi, che siamo un cumulo di contraddizioni, che la nostra volontà non è sempre forte, non è sempre chiara nemmeno di fronte alle più nobili delle intenzioni…

E allora? “Se ti chiamerà, dirai: «Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta»”. Così dice il sacerdote Eli al piccolo Samuele che non riusciva a discernere la chiamata di Dio. Noi, invece, siamo più spesso inclini a dire: “Signore ascolta, perché adesso parlo io!”. E il problema è che parliamo sempre noi! È Dio a doverci ascoltare, è Lui che si deve adeguare alle nostre esigenze e ai nostri progetti. Dal momento che Dio è un po’ distratto, dobbiamo attirare la Sua attenzione… lo butterà un occhio dalla mia parte, prima o poi… Il Vangelo non dice che sia sbagliato chiedere, anzi, Gesù dice di chiedere anche in maniera inopportuna, ma quando il nostro vissuto di fede è filtrato unicamente dalle nostre necessità, dalle contingenze e dai nostri bisogni allora siamo fuori bersaglio… è Dio che deve seguirci, non noi a seguire Lui! È Dio che deve – deve! – ascoltarci, non noi ad ascoltare Lui.

Diventi questa la nostra preghiera: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta. Sei Tu che mi dai la forma, sei Tu che mi fai! Voglio che la mia vita sia determinata da Te. Soltanto da Te!”

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