venerdì 4 ottobre 2013

Tonache d'alta moda

di fra Fabio Furiasse


Tra le reliquie più preziose ed amate della Basilica di Assisi c'è la tonaca che Francesco ha indossato negli ultimi giorni della sua vita: un camicione semplicissimo rattoppato da cima a fondo con pezze di colore e stoffa completamente diversi, proprio come il modello che lui, impareggiabile ed estroso creatore di moda qual era, aveva fissato nella Regola.

Si dice che l'abito non faccia il monaco; ma questo non valeva affatto nel Medioevo e non vale per i francescani, che al loro "look" hanno sempre gelosamente tenuto (sapeste che lotte tra Cappuccini e Osservanti, nel Cinquecento!), e tanto meno per Francesco, che non ha mai smesso, neppure dopo la conversione, di strabiliare il mondo intero con il suo personalissimo modo di proporsi.

Racconta chi l'ha conosciuto ancora ragazzo, che il figlio di Pietro di Bernardone "non era spendaccione soltanto in pranzi e divertimenti, ma passava ogni limite anche nel vestirsi. Si faceva confezionare abiti più sontuosi che alla sua condizione sociale non si convenisse e, nella ricerca dell'originalità, arrivava a cucire insieme nello stesso indumento stoffe preziose e panni grossolani": dava di sé cioè un'immagine che potesse distinguerlo da chiunque altro e soprattutto misurasse ogni relazione con lui. L'immagine che si vuol dare di sé è come un'autobiografia, un'autopresentazione, un "curriculum" spiegato ai quattro venti; o, se vogliamo, un manifesto pubblicitario che stimoli la curiosità di tutti.

Ricordo vagamente una bella favola che la maestra ci raccontò per carnevale: quella di un giocoliere così povero da non aver neppure la possibilità di vestirsi, ma così abile da incantare tutti e farsi regalare da ciascuno spettatore un pezzo di stoffa, che la mamma cucì l'uno accanto all'altro fino ad ottenere il vestito più famoso del mondo. Già, Arlecchino, ricordate? Arlecchino era nientemeno che un giullare, e il suo stranissimo vestito non è che un vestito da giullare, un "look" paradossale tale e quale quello di Francesco.

Francesco sentiva in sè questo fascino innato, questa vocazione al gioco (giullare deriva dall'antico francese jongleur, giocoliere, colui che sa giocare con le parole e con la musica, con le cose e - senti senti! - con gli animali) che gli dava possibilità illimitate, da vero artista, di tirarsi dietro il mondo intero.

Non mi meraviglia pensare che la tonace che si inventò fosse proprio una tonaca da giullare, da giullare povero, fatta di pezze povere. Pensate che, oltretutto, fino al Trecento in Italia tutti portavano la "tonaca", monaci o cavalieri, contadini o mercanti, vescovo e re: ciò che faceva la differenza non era la forma ma, guarda caso, la stoffa e il colore. La tonaca francescana è questo manifesto ambulante, provocatorio, controcorrente: ma pacifico e gioioso, mai violento, polemico e prevaricatore. Un manifesto evangelico che sa parlare proprio tutti i linguaggi del mondo, come facevano i giullari sulle piazze, nel bel mezzo delle fiere, lungo le strade, dovunque ci fosse gente da rasserenare con una canzone.

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