di fra Giuseppe Bartolozzi
Il cristiano è adoratore
di Dio che è Padre e Figlio e Spirito Santo. Questo mistero insondabile è a
fondamento della nostra fede proprio perché ciascuno di noi è stato battezzato
nel nome di Dio-Trinità. Dopo la sua risurrezione Gesù dice: “Mi è stato dato
ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”(Mt
28, 18-19). E' importante sottolineare che qui l’espressione: nel nome di,
vuol dire che si instaura una relazione personale del battezzato col Padre, il
Figlio e lo Spirito Santo.
Questo significa che ciascuno di noi per pura grazia, cioè senza alcun nostro merito, è stato inserito in quel disegno che san Paolo, mediante una preghiera di lode, annuncia così: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale ci ha benedetti con ogni benedizione dello Spirito nei cieli in Cristo. Egli (il Padre) ci ha scelti in lui (Cristo) prima della fondazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto; nell’amore predestinandoci ad essere suoi nella figliolanza per opera di Gesù Cristo”(Ef 1, 3-5). In questo testo appare, in maniera straordinaria ed incisiva, che il cristiano è un frutto della grazia, di quella grazia che è amore senza fondo, cioè insondabile, di Dio Padre, il quale, insieme al suo Figlio ed allo Spirito Santo, ha realizzato il piano di condurci alla comunione-unione con sé. Ecco la nostra divina vocazione, e non ne esiste un’altra, pena cadere nel vuoto del non senso della nostra esistenza terrena. Vocazione che ci viene descritta dalla 1 Gv 3, 1-2 in questi termini: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! … Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”. Con questi due passi della Scrittura, cioè di san Paolo e san Giovanni, noi siamo penetrati nel mistero della nostra esistenza, della nostra esistenza cristiana, mistero che, innanzitutto, Gesù il Figlio di Dio, ci ha dischiuso per primo: “E non chiamate nessuno ‘padre’ sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo”(Mt 23, 9). Quando, dunque, Gesù ci insegna a dire nell’unica preghiera necessaria “Padre nostro”(Mt 6, 9), vuole farci immergere in quest’abisso di Amore che è Dio Padre, colui che è il principio e la sorgente della Trinità, del Figlio e dello Spirito Santo, e di ogni essere, innanzitutto di ciascuno di noi amato personalmente da lui. “Lode, ringraziamento, adorazione crescono dunque non soltanto sulla base dell’esistenza [cioè del dono della vita] per la quale ad ogni modo, in quanto dono totalmente immeritato, non potremmo mai ringraziare abbastanza Dio. Ma la stessa esistenza ci fu appunto donata unicamente in vista di un pensiero ancora più anteriore, ancora più inimmaginabile di Dio (“prima della fondazione del mondo”), anzi la nostra esistenza e ciò che ci circonda si bagna in un mare molto più profondo, nell’oceano senza fondo dell’amore del Padre. … Colui che prega e medita la parola di Dio deve lasciarsi afferrare da questa elementare coscienza della fede: che l’intera solidità del suo essere creatura, e del mondo di ogni giorno, avanza come una nave sopra gli abissi di una realtà elementare del tutto diversa [da quello che noi percepiamo], solo quella realtà è assoluta e decisiva, la realtà dell’insondabile amore del Padre. … Chi ha per una volta intuito questo mistero fondamentale della nostra esistenza, la necessità della preghiera, e specialmente della preghiera dell’ascolto e della contemplazione, gli diverrà ovvia. Giacché d’ora in poi la relazione fra Dio e la creatura [il cristiano] appare sorretta da tali miracoli dell’amore inconcepibile di Dio, il quale si dimostra come l’amante in senso assoluto, che la creatura ha solamente bisogno di pensarsi in qualche modo come ciò che ella è [cioè esiste perché è amata] per esplodere nella lode della preghiera”(von Balthasar). Questa riflessione in sostanza vuol dire questo: il cristiano prega realmente quando è consapevole che a fondamento di tutto il suo essere e della sua vita c’è l’amore senza misura del Padre ed egli con la preghiera, che non ha bisogno innanzitutto di parole ma di un sentimento autenticamente filiale, si tuffa in quest’amore: sì, la preghiera cristiana è innanzitutto un ‘tuffo’ in quest’immensità dell’amore del Padre che solo illumina e riscalda la nostra affaticata esistenza; così dice, infatti, san Pietro nella sua prima Lettera: “gettando in lui ogni vostra preoccupazione perché egli ha cura di voi”(5, 7).
Questo significa che ciascuno di noi per pura grazia, cioè senza alcun nostro merito, è stato inserito in quel disegno che san Paolo, mediante una preghiera di lode, annuncia così: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale ci ha benedetti con ogni benedizione dello Spirito nei cieli in Cristo. Egli (il Padre) ci ha scelti in lui (Cristo) prima della fondazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto; nell’amore predestinandoci ad essere suoi nella figliolanza per opera di Gesù Cristo”(Ef 1, 3-5). In questo testo appare, in maniera straordinaria ed incisiva, che il cristiano è un frutto della grazia, di quella grazia che è amore senza fondo, cioè insondabile, di Dio Padre, il quale, insieme al suo Figlio ed allo Spirito Santo, ha realizzato il piano di condurci alla comunione-unione con sé. Ecco la nostra divina vocazione, e non ne esiste un’altra, pena cadere nel vuoto del non senso della nostra esistenza terrena. Vocazione che ci viene descritta dalla 1 Gv 3, 1-2 in questi termini: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! … Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”. Con questi due passi della Scrittura, cioè di san Paolo e san Giovanni, noi siamo penetrati nel mistero della nostra esistenza, della nostra esistenza cristiana, mistero che, innanzitutto, Gesù il Figlio di Dio, ci ha dischiuso per primo: “E non chiamate nessuno ‘padre’ sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo”(Mt 23, 9). Quando, dunque, Gesù ci insegna a dire nell’unica preghiera necessaria “Padre nostro”(Mt 6, 9), vuole farci immergere in quest’abisso di Amore che è Dio Padre, colui che è il principio e la sorgente della Trinità, del Figlio e dello Spirito Santo, e di ogni essere, innanzitutto di ciascuno di noi amato personalmente da lui. “Lode, ringraziamento, adorazione crescono dunque non soltanto sulla base dell’esistenza [cioè del dono della vita] per la quale ad ogni modo, in quanto dono totalmente immeritato, non potremmo mai ringraziare abbastanza Dio. Ma la stessa esistenza ci fu appunto donata unicamente in vista di un pensiero ancora più anteriore, ancora più inimmaginabile di Dio (“prima della fondazione del mondo”), anzi la nostra esistenza e ciò che ci circonda si bagna in un mare molto più profondo, nell’oceano senza fondo dell’amore del Padre. … Colui che prega e medita la parola di Dio deve lasciarsi afferrare da questa elementare coscienza della fede: che l’intera solidità del suo essere creatura, e del mondo di ogni giorno, avanza come una nave sopra gli abissi di una realtà elementare del tutto diversa [da quello che noi percepiamo], solo quella realtà è assoluta e decisiva, la realtà dell’insondabile amore del Padre. … Chi ha per una volta intuito questo mistero fondamentale della nostra esistenza, la necessità della preghiera, e specialmente della preghiera dell’ascolto e della contemplazione, gli diverrà ovvia. Giacché d’ora in poi la relazione fra Dio e la creatura [il cristiano] appare sorretta da tali miracoli dell’amore inconcepibile di Dio, il quale si dimostra come l’amante in senso assoluto, che la creatura ha solamente bisogno di pensarsi in qualche modo come ciò che ella è [cioè esiste perché è amata] per esplodere nella lode della preghiera”(von Balthasar). Questa riflessione in sostanza vuol dire questo: il cristiano prega realmente quando è consapevole che a fondamento di tutto il suo essere e della sua vita c’è l’amore senza misura del Padre ed egli con la preghiera, che non ha bisogno innanzitutto di parole ma di un sentimento autenticamente filiale, si tuffa in quest’amore: sì, la preghiera cristiana è innanzitutto un ‘tuffo’ in quest’immensità dell’amore del Padre che solo illumina e riscalda la nostra affaticata esistenza; così dice, infatti, san Pietro nella sua prima Lettera: “gettando in lui ogni vostra preoccupazione perché egli ha cura di voi”(5, 7).
La preghiera del
cristiano è ricerca del volto del Padre: “il tuo volto Signore io cerco, non
nascondermi il tuo volto” (Sal 27, 8-9) . Questa ricerca è in realtà desiderio
di possedere sempre più ciò che ci è stato donato; il cristiano non è alla
ricerca del Dio ignoto andando come a tentoni (cf. At 17, 27), al
contrario il cristiano possiede l’unico vero Dio a motivo del fatto che
possiede Cristo, in lui infatti “abita corporalmente tutta la pienezza della
divinità e voi avete in lui parte alla sua pienezza”(Col 2, 9-10). Nello
Spirito di Cristo che abita in noi, noi siamo diventati il tempio del Dio
vivente (cf. 1 Cor 3, 16): è in questo tempio, quale è divenuto il
nostro cuore di credenti, che Dio, il Padre, vuole essere adorato (cf. Gv
4, 23). Noi dunque adoriamo ciò che già conosciamo e si è comunicato a noi, il
Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Tuttavia, un figlio desidera conoscere
il padre e le opere da lui compiute; così anche il cristiano in quanto è reso
figlio di Dio desidera conoscere il suo Padre celeste (in realtà l’unico
Padre), e le opere da lui compiute: la nostra preghiera, la nostra
contemplazione, si nutre delle opere di Dio, delle sue azioni, per adorarlo e
rendergli grazie: sono questi i due grandi sentimenti, chiamiamoli così, che
sono a fondamento della preghiera cristiana e che tanto spesso dimentichiamo.
“Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai
padri per mezzo dei profeti, ultimamente in questi giorni, ha parlato a noi nel
Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto
anche il mondo”(Ebr 1, 1-2). Questo passo della Scrittura ci indica con
chiarezza che il Figlio stesso di Dio fatto carne è la piena, completa, ed
assolutamente imprevedibile rivelazione del mistero del Padre; tuttavia Dio
aveva parlato anche prima in quella rivelazione che noi cristiani chiamiamo
Antico Testamento (o Alleanza) e che rappresenta la storia del popolo ebraico
come storia del popolo scelto da Dio per essere portatore di salvezza
per tutti gli uomini attraverso il Messia-Salvatore, cioè Gesù, che Dio avrebbe
fatto nascere proprio da questo popolo. La Chiesa, nella celebrazione
eucaristica attraverso la prima lettura della liturgia della Parola, tiene
conto di quest’aspetto essenziale proponendo alla nostra contemplazione quanto
Dio, il Padre, ha già rivelato e manifestato di sé e del suo amore nell’antica
Alleanza. Il passo della lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato ci
propone, inoltre, di risalire oltre l’antica Alleanza e contemplare l’amore di
Dio nella creazione stessa, la quale rappresenta la prima apparizione
dell’amore Dio e il fondamento di ciò che Dio compirà e manifesterà in seguito:
Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che è risorto dai morti e siede alla destra del
Padre come vincitore del peccato e della morte è il fine di tutto ciò che è
stato creato (egli è “erede di tutte le cose”), ma egli è anche colui per mezzo
del quale Dio “ha creato anche il mondo”. Quest’insegnamento risuona anche nel
prologo del vangelo di Giovanni: “tutto è stato fatto per mezzo di lui e
senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e
la vita era la luce degli uomini”(1, 3-4). Dunque, tutta la creazione sgorga
dal cuore paterno di Dio e porta il sigillo del suo Figlio; in tal modo ogni
creatura è opera della Trinità, soprattutto l’uomo: “Facciamo l’uomo a nostra
immagine, a nostra somiglianza”(Gn 1, 26). Noi dimentichiamo spesso di
rendere gloria a Dio per la sua creazione e soprattutto per la nostra stessa
esistenza nella quale si manifesta particolarmente la gloria di Dio poiché
siamo a sua immagine e somiglianza; per questo sant’Ireneo affermava: “Gloria
di Dio è l’uomo vivente”. L’uomo di oggi è distratto, estremamente distratto,
riguardo alla creazione di Dio: egli guarda più le opere delle sue mani che le
opere delle mani di Dio. E’ questo un segno del suo cuore orgoglioso ed
indurito verso Dio. Se la nostra preghiera è l’incontro col Dio vivente, col
Dio-Trinità, non possiamo dimenticare di adorare e ringraziare l’amore di Dio
che si esprime nella creazione e nel dono della vita: “Tutto è pieno di Dio”,
esclamava la grande mistica francescana Angela da Foligno.
Concludiamo il nostro
incontro con questa riflessione del beato Paolo VI nel suo scritto Pensiero
alla morte: “Quanto a me vorrei avere
finalmente una nozione riassuntiva e sapiente sul mondo e sulla vita: penso che
tale nozione dovrebbe in riconoscenza: tutto era dono, tutto era grazia; e
com'era bello il panorama attraverso il quale si è passati; troppo bello, tanto
che ci si è lasciati attrarre e incantare, mentre doveva apparire segno e
invito. Ma, in ogni modo, sembra che il congedo debba esprimersi in un grande e
semplice atto di riconoscenza, anzi di gratitudine: questa vita mortale è,
nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua
fatale caducità, un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente;
un avvenimento degno d'essere cantato in gaudio, e in gloria: la vita, la vita
dell'uomo! Né meno degno d'esaltazione e di felice stupore è il quadro che
circonda la vita dell'uomo: questo mondo immenso, misterioso, magnifico, questo
universo dalle mille forze, dalle mille leggi, dalle mille bellezze, dalle
mille profondità. E' un panorama incantevole. Pare prodigalità senza misura.
Assale, a questo sguardo quasi retrospettivo, il rammarico di non averlo
ammirato abbastanza questo quadro, dì non aver osservato quanto meritavano le
meraviglie della natura, le ricchezze sorprendenti del macrocosmo e del
microcosmo. Perché non ho studiato abbastanza, esplorato, ammirato la stanza
nella quale la vita si svolge? Quale imperdonabile distrazione, quale riprovevole
superficialità! Tuttavia, almeno in extremis, si deve riconoscere che quel
mondo, «qui per Ipsum factus est», che è stato fatto per mezzo di Lui, è
stupendo. Ti saluto e ti celebro all'ultimo istante, sì, con immensa
ammirazione; e, come si diceva, con gratitudine: tutto è dono; dietro la vita,
dietro la natura, l'universo, sta la Sapienza; e poi, lo dirò in questo
commiato luminoso, (Tu ce lo hai rivelato, o Cristo Signore) sta l'Amore!La
scena del mondo è un disegno, oggi tuttora incomprensibile per la sua maggior
parte, d'un Dio Creatore, che si chiama il Padre nostro che sta nei cieli!
Grazie, o Dio, grazie e gloria a Te, o Padre! In questo ultimo sguardo mi
accorgo che questa scena affascinante e misteriosa è un riverbero, è un
riflesso della prima ed unica Luce; è una rivelazione naturale d'una
straordinaria ricchezza e bellezza, la quale doveva essere una iniziazione, un
preludio, un anticipo, un invito alla visione dell'invisibile Sole, « quem nemo
vidit unquam », che nessuno ha mai visto (cfr. Jo. 1,18): «unigenitus
Filius, qui est in sinu Patris, Ipse enarravit», il Figlio unigenito, che è
nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato. Così sia, così sia.
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