mercoledì 29 aprile 2015

Prossimità e indignazione

di Paride Petrocchi


Di fronte ad un evento tanto tragico come la morte di settecento persone in mare, nemmeno il più cinico di noi è potuto rimanere indifferente; ognuno reagendo in maniera diversa: chi con un'ondata di rabbia, chi con profonda tristezza, chi con malcelata contentezza, come se ci fosse qualcosa di cui essere lieti davanti ad un fiore che viene reciso quando ancora deve sbocciare.


Per giorni ogni testata giornalistica, ogni frequenza radio, ogni talk show e perfino ogni nostra discussione è stata pervasa da questo tema: può essere il Mediterraneo la tomba della speranza? Tutti focalizzati sulla notizia del giorno e guai se non fosse stato così; un'umanità che non soffre per il dolore altrui è un'umanità che ha smarrito la sua più intima essenza, legata così indissolubilmente all'esperienza della compassione. 

Ma domani, fra una settimana, fra un mese chi si ricorderà di tutto ciò? Chi – in maniera indignata  - si alzerà urlando che questi eventi non devono più accadere? L'indignazione scemerà, giorno dopo giorno, pronta a riacutizzarsi al prossimo dramma. Si potrebbe osservare che abbiamo una memoria a breve termine e ciò sarebbe vero se questa diagnosi potesse essere estesa a tutti i fatti della nostra vita; ma così non è. Infatti ricordiamo un torto subito a distanza di anni, se non di decenni, siamo abili a tenere il "muso" alle persone per la minima ingiustizia per giornate intere. Se quel tale ha fatto del male a noi o a qualche persona a noi vicina tale sensazione rimane indelebile e pronta ad ardere di nuovo, come la brace sotto la cenere.

Ed allora cosa distingue un piccolo torto subito in prima persona da una disgrazia così enorme come la morte di settecento persone che attraversano il mare nella tenue speranza di un futuro migliore? La prossimità. La percezione, non per forza esatta, che un tale fatto non ci "tocchi" in prima persona, che sia sì importante ma che, allo stesso tempo, non sia vitale; che possiamo continuare a vivere egualmente come se nulla fosse accaduto.

Se su quel "vascello della speranza" vi fossero stati settecento "volti" con storie che si intrecciavano con le nostre, la reazione sarebbe stata diversa, la nostra percezione dell'ingiustizia sarebbe stata molto più forte e duratura rispetto a quella attuale.

Si tratta di egoismo? Credo di no; i confini della prossimità sono connaturati alla nostra umanità, ma essendo confini possono essere modificati, ampliati, estesi; in che modo? In primo luogo chiedendoci – senza retorica – chi sia il nostro prossimo.

Nessun commento:

Posta un commento

Lasciate un commento