mercoledì 18 dicembre 2013

Fede e preghiera

di fra Giuseppe Bartolozzi


Nella preghiera si tratta, innanzitutto, di stare con fede alla presenza di Dio che abita il nostro cuore. “Dio è in noi, al centro del nostro essere. Presente, vivo, amante, attivo. Là ci chiama. Là ci aspetta per unirci a Lui. Dio è là, siamo noi che non ci siamo. La nostra esistenza trascorre all’esterno di noi stessi, o perlomeno alla periferia del nostro essere, nella zona delle sensazioni, emozioni, delle immaginazioni, delle discussioni … in questa periferia dell’anima, rumorosa ed inquieta. 

L’orazione è lasciare questa periferia tumultuosa del nostro essere; è raccogliere, radunare tutte le nostre forze e immergersi nella notte arida verso la profondità della nostra anima. Là non resta che tacere e farsi attenti. Non si tratta più di sensazioni spirituali, si tratta della fede: credere nella presenza di Dio. Adorare in silenzio la Trinità vivente. Offrirsi e aprirsi alla sua vita zampillante.

Se volete che tutta la vostra vita divenga una lunga preghiera, una vita alla presenza di Dio, una vita con Dio, se volete diventare delle anime di preghiera, sappiate, durante il giorno, rientrare spesso in voi stessi per adorare il Dio che vi attende. Non c’è bisogno di un tempo prolungato: un tuffo di un istante, e ritornate ai vostri compiti, ma ringiovaniti, rinfrescati, rinnovati” (H. Caffarel). Dicevamo l’ultima volta che la nostra preghiera è autentica se è autentica la nostra fede, come quella che nel Vangelo è mostrata dal centurione romano nei confronti di Gesù: “Dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”(Mt 8, 8). Se un pagano, quale era il centurione, ha potuto riconoscere, certo per una grazia singolare, la presenza di Gesù come Salvatore in maniera così chiara e netta, perché noi, i fratelli di Gesù, fatichiamo a volte così tanto ad abbandonarci a Lui? Ecco un aspetto della povertà della nostra preghiera.
Tuttavia, la poca fede non ci deve allontanare dalla preghiera, anzi bisogna credere che stare davanti al Signore con amore è la scuola migliore per far crescere la nostra fede. Nella preghiera del cuore, nello stare davanti al Signore con una attenzione amorosa, potremmo domandargli, innanzitutto, di accrescere la nostra fede: “Credo, aiutami nella mia incredulità” (Mc 9,14-24). È questo il grido di chi nella fede si abbandona al Signore presente, ma nello stesso tempo sente il bisogno di crescere in questo abbandono fiducioso. Un altro episodio evangelico significativo è quello di Tommaso che da incredulo diviene credente: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20, 24-29): è la confessione più importante della fede in Gesù e il possessivo “mio” la rende particolarmente adatta perché sia nella preghiera anche la nostra confessione di fede ripetuta con amore e gioia.

“Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”. L’espressione è un invito a superare quella difficoltà della fede che scaturisce dal fatto che non vediamo il Signore come lo hanno visto i testimoni della sua risurrezione. Gesù ci dice che c’è una beatitudine, quindi una particolare grazia per entrare nel regno di Dio, quando pur non percependolo con i nostri sensi ci affidiamo ugualmente a lui. Ci può essere la tentazione di abbandonare la preghiera proprio perché ci sembra di non sentire il Signore così come noi lo desidereremmo o di sentire tutta la debolezza della nostra fede: è quello il momento di richiamare alla mente quest’espressione di Gesù che ci incoraggia a proseguire nel cammino della preghiera poiché egli conosce la nostra difficoltà; egli ci ripete: “Non temere, continua solo ad aver fede!”(Mc 5, 36).

Nessun commento:

Posta un commento

Lasciate un commento