mercoledì 4 dicembre 2013

Guillebaud: sentivo l'esigenza di confrontarmi con l'enigma del male.



Il giornalista ed editore Jean-Claude Guillebaud ci racconta la sua storia di conversione. Nato nel 1944 ad Algeri, è un giornalista e saggista francese. Grazie alla vicinanza con pensatori cristiani come René Girard, si è riavvicinato al Cristianesimo attraverso un lavoro culturale di rilettura della Tradizione, dell'esperienza e del pensiero cristiano come chiave decisiva per comprendere le mutazioni del tempo presente.    

«Il contrario del peccato non è la virtù, bensì la fede! È vero che ritrovare delle convinzioni cristiane non è sufficiente per considerarsi tali, ridiventare cristiano implica qualcosa di più personale e io penso che la mia vita sia cambiato proprio da questo punto di vista.

Ho avuto la sensazione di essere come un bambino che ritorna a casa, che ritrova la sua abitazione. Per un po’ mi sentivo in questa situazione imbarazzante. Conoscete la parabola del figliol prodigo? Un uomo che ritorna nella propria casa e dimostra una sorta di ingenuità. Non ricorda più la bellezza dei mobili della sua casa e se ne meraviglia. Io mi sentivo in questo stato. Avevo riscoperto e riletto le scritture dei Padri della Chiesa e me ne sorprendevo, e ai cristiani che mi invitavano a tenere delle conferenze ripetevo quanto non si rendessero conto di essere seduti sopra un tesoro e sentivo che si trattava di una ricchezza, stupendomi che alcuni di loro avessero perso l’abitudine di meravigliarsi.

Sono nato in una famiglia abbastanza cattolica, francese e piccolo borghese, eravamo cattolici per consuetudine non tanto per convinzione. Sono stato battezzato e ho fatto la prima comunione. Poi intorno ai 17-18 anni quando sono partito per seguire all’università i corsi di diritto mi sono completamente disinteressato del cristianesimo, senza aggressività. Non avevo dei conti da regolare con il cristianesimo. Poco dopo sono diventato giornalista del quotidiano Le monde. In quel periodo le questioni religiose non mi interessavano per niente.

Durante la guerra civile libanese le cose sono cambiate e questo mi ha molto colpito. È stata una guerra spaventosa, incredibile. Noi giornalisti abbiamo visto nelle strade di Beirut delle scene di una violenza inaudita. Era inimmaginabile. All’improvviso abbiamo avuto l’impressione di veder sorgere il male, il Male, con la M maiuscola. Come era possibile che un cristiano di Beirut potesse diventare l’assassino del vicino con cui giocava a carte la sera, che conosceva da anni, e il cui unico difetto era di essere mussulmano.  Improvvisamente si poneva una questione spirituale. Che cos’è il male? Come parlare di questo enigma? Così mi sono reso conto che il pensiero moderno aveva abbandonato la questione del male. Io sentivo l’esigenza di confrontarmi con questo enigma…».

Non credo di essere ancora riuscito a pregare. E tutte le volte che parlo di questo mio problema a Francois Solet lui mi risponde sempre in maniera magnifica. Mi dice di non farmi questa domanda, di essere semplice e di rivolgermi al Cristo chiedendogli ciò che ho voglia di domandarmi. Non devo cercare delle formule, una sorta di pedagogia, ma abbandonarmi a Lui con estrema semplicità.

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