giovedì 12 dicembre 2013

La vera salute ancora oggi è liberarci dal male

di Andrea Monda
(tratto da un articolo apparso su Avvenire in data 11.12.2013)


Nella mia missione "archeologica", alla ricerca delle parole perdute, a metà strada tra Champollion e Indiana Jones, è una piccola fortuna il fatto di insegnare in un liceo classico. Così quando ho scoperto che la parola salvezza era evaporata all'orizzonte, non mi sono rassegnato alla perdita e ho rilanciato puntando sull'etimologia chiedendo ai ragazzi di III liceo (cioè dell'ultimo anno, secondo la vecchia articolazione con il ginnasio al biennio, ma "ginnasio" è ormai un'altra parola destinata all'estinzione): «Come si dice salvezza in latino?». Pronta la risposta, sono bravi, in latino: «Salus, salutis, della terza declinazione», Martina brucia sul tempo gli altri. 

«Ma non vuol dire anche salute?», chiede saputella Serena. Ecco, spiegando che salus ha due significati ma il primo e più importante è "salvezza", mi sono reso conto che non tutte le parole del lessico religioso sono andate perdute: alcune si sono perse ma solo perché sono state sostituite. È questo il caso di salvezza, che oggi appare parola antica, priva di senso (da che cosa ci dovremmo salvare?) e che ha lasciato il posto al "nuovo dio" che ha soppiantato l'antico: il dio salute. 

«Quando incontriamo un amico – chiedo ai miei studenti – con quale frase lo salutiamo? La risposta è fulminea: «Ciao, come stai?». «Ecco vedete, è questo il punto. E se per caso la risposta è che non si sente molto bene, cosa gli diciamo?». Ancora più rapidi: «Curati, perché la salute è la prima cosa». Appunto: la prima cosa. Una volta era la salvezza, la prima cosa, oggi è la salute. Viviamo nell'era del salutismo, una religione dura, con i suoi riti, i suoi templi (dalla palestra ai vari e variopinti centri-benessere), il suo clero (dietologi, scienziati dell'alimentazione, esperti della nutrizione...), che arriva ad esigere anche sacrifici umani, a cui è difficile sottrarsi, oggi nell'opulento Occidente. 

Ritorno quindi alla salvezza e al latino: «Libera nos a malo... che cosa vuol dire? Lo avete mai sentito?». Agnese mi dice subito: «È una vecchia canzone di Ligabue». «Sì, ma ancora prima, è un verso di quale testo?». Qualcuno sussurra al compagno, forse non si fida della sua memoria o di esprimersi davanti a tutti: «Il Padre Nostro». Meno male, non tutto è perduto, e anche la traduzione infine esce fuori: "liberaci dal male". Faccio notare che abbiamo sostituito salvezza con salute quando si è cominciato a sostituire male con malessere; ma questa è un'altra questione, un'altra sfida "archeologica" da intraprendere prima di altre perdite definitive.

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