venerdì 9 gennaio 2015

2015 Porte chiuse

di Paride Petrocchi



Giacomo era un sarto, tra i migliori del paese dicevano, o almeno così dicevano a me che ero, anzi, che sono, il nipote. Non so, in sincerità, se fosse il più bravo, so solo che portava a termine ciò che iniziava. Ogni tanto, quando passavo i pomeriggi con lui, lo vedevo armeggiare con ago, filo e con un gessetto, mentre era intento ad ‘imbastire’ un vestito. Un lavoro, forse più di un lavoro: un’arte, nella quale lui metteva il massimo della cura, della serietà e perché no, anche della fedeltà. Nel giro di una settimana o poco più, il vestito imbastito veniva completato nei minimi dettagli. Certo non tutti gli abiti gli saranno venuti al primo tentativo e forse su qualcuno di essi ci avrà anche speso qualche nottata, perseverando, errore dopo errore, punto dopo punto, ma senza mai lasciare l’opera a metà.
A pensarci nulla di più facile, a farlo nulla di più difficile.

Si, perché io, suo nipote, questo talento nel ‘portare a termine’ ciò che si inizia, con tutta la fatica del caso, purtroppo non l’ho ereditato. Sono bravo, anzi eccezionale, a imbastire vestiti, muovere i primi passi, aprire porte, poi appena i vestiti iniziano a presentare i primi difetti, i primi sentieri iniziano ad essere un po’ in salita, appena dietro qualche porta trovo qualche muro, mi fermo e mi soffermo a fare l’inventario dei ‘se’ e dei ‘ma’, ad elencare una molteplicità di possibilità alternative a ciò che sto vivendo.

Un talento innato nell’iniziare, ma un’imbranataggine, altrettanto innata, nel giungere al termine. Purtroppo condivido questo talento con tanti giovani, come me, i quali, un po’ a causa delle mille luci della realtà circostante, un po’ per colpa propria, vivono nell’illusione di poter vivere mille vite possibili, di non dover per forza scegliere, di poter prendere tutto, anzi più di tutto e in questo labirinto dove si aprono sempre, ogni giorno, nuovi orizzonti, nuove prospettive, nessuno chiude porte, nessuno arriva alla vetta, nessuno cuce l’ultimo bottone. In balia dei possibili, ci troviamo sempre davanti ad un bivio, indecisi su quale strada prendere e con la tentazione di volerle intraprendere entrambe. E dopo aver scelto, a metà strada, o forse dopo i primi passi, ci sentiamo stanchi, affaticati, diamo la colpa alla ruotine, alla quotidianità, alla mancanza di emozioni, ai ‘non era più come l’inizio’, piano piano rallentiamo il passo e ci fermiamo, anzi torniamo indietro al bivio. Ed iniziano una nuova via. Ed ecco ripetersi il solito copione.

Perché vi dico tutto questo? Perché l’ augurio che vi faccio e che mi faccio quest’anno è di avere il coraggio di chiudere porte, di sconfiggere la tentazione di tenere mille porte, sempre mezze aperte (chissà poi che ci facciamo), con la perenne certezza di un via di fuga, di correre per una volta il rischio di pensare e di vivere un ‘per sempre’, di stare di fronte ad una porta, dopo aver chiuso tutte le altre, entrarci, percorrere il cammino fino alla fine, con tutto noi stessi, cadute, botte, scoraggiamenti, tradimenti, con perseveranza e fedeltà. Ci è data una sola vita da vivere, una vita presente, reale, non la sprechiamo andando dietro a mille vite possibili che ci lasceranno sempre l’amaro in bocca di un sogno svanito.  

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