Giacomo era un sarto, tra
i migliori del paese dicevano, o almeno così dicevano a me che ero, anzi, che
sono, il nipote. Non so, in sincerità, se fosse il più bravo, so solo che
portava a termine ciò che iniziava. Ogni tanto, quando passavo i pomeriggi con
lui, lo vedevo armeggiare con ago, filo e con un gessetto, mentre era intento
ad ‘imbastire’ un vestito. Un lavoro, forse più di un lavoro: un’arte, nella
quale lui metteva il massimo della cura, della serietà e perché no, anche della
fedeltà. Nel giro di una settimana o poco più, il vestito imbastito veniva
completato nei minimi dettagli. Certo non tutti gli abiti gli saranno venuti al
primo tentativo e forse su qualcuno di essi ci avrà anche speso qualche
nottata, perseverando, errore dopo errore, punto dopo punto, ma senza mai
lasciare l’opera a metà.
A pensarci nulla di più
facile, a farlo nulla di più difficile.
Si, perché io, suo
nipote, questo talento nel ‘portare a termine’ ciò che si inizia, con tutta la
fatica del caso, purtroppo non l’ho ereditato. Sono bravo, anzi eccezionale, a imbastire
vestiti, muovere i primi passi, aprire porte, poi appena i vestiti iniziano a
presentare i primi difetti, i primi sentieri iniziano ad essere un po’ in
salita, appena dietro qualche porta trovo qualche muro, mi fermo e mi soffermo
a fare l’inventario dei ‘se’ e dei ‘ma’, ad elencare una molteplicità di
possibilità alternative a ciò che sto vivendo.
Un talento innato
nell’iniziare, ma un’imbranataggine, altrettanto innata, nel giungere al
termine. Purtroppo condivido
questo talento con tanti giovani, come me, i quali, un po’ a causa delle mille
luci della realtà circostante, un po’ per colpa propria, vivono nell’illusione
di poter vivere mille vite possibili, di non dover per forza scegliere, di
poter prendere tutto, anzi più di tutto e in questo labirinto dove si aprono
sempre, ogni giorno, nuovi orizzonti, nuove prospettive, nessuno chiude porte,
nessuno arriva alla vetta, nessuno cuce l’ultimo bottone. In balia dei
possibili, ci troviamo sempre davanti ad un bivio, indecisi su quale strada
prendere e con la tentazione di volerle intraprendere entrambe. E dopo aver
scelto, a metà strada, o forse dopo i primi passi, ci sentiamo stanchi,
affaticati, diamo la colpa alla ruotine, alla quotidianità, alla mancanza di
emozioni, ai ‘non era più come l’inizio’, piano piano rallentiamo il passo e ci
fermiamo, anzi torniamo indietro al bivio. Ed iniziano una nuova via. Ed ecco
ripetersi il solito copione.
Perché vi dico tutto
questo? Perché l’ augurio che vi faccio e che mi faccio quest’anno è di avere
il coraggio di chiudere porte, di sconfiggere la tentazione di tenere mille
porte, sempre mezze aperte (chissà poi che ci facciamo), con la perenne
certezza di un via di fuga, di correre per una volta il rischio di pensare e di
vivere un ‘per sempre’, di stare di fronte ad una porta, dopo aver chiuso tutte
le altre, entrarci, percorrere il cammino fino alla fine, con tutto noi stessi,
cadute, botte, scoraggiamenti, tradimenti, con perseveranza e fedeltà. Ci è
data una sola vita da vivere, una vita presente, reale, non la sprechiamo
andando dietro a mille vite possibili che ci lasceranno sempre l’amaro in bocca
di un sogno svanito.
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