mercoledì 29 gennaio 2014

Umiltà e preghiera (2° parte)

di fra Giuseppe Bartolozzi


Gesù ha affermato: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”(Mt 18, 3). Gesù, il quale conosce il cuore dell’uomo, sa che il più grande ostacolo per entrare nel regno di Dio, cioè avere un’autentica comunione con Dio, è l’orgoglio, la presunzione di essere qualcosa da parte dell’uomo. Nell’ultimo incontro, e vogliamo insistere su questo, abbiamo sottolineato che mettersi davanti a Dio nella preghiera richiede da noi, innanzitutto, il riconoscimento della nostra radicale povertà: dipendiamo in tutto e per tutto da Dio e per questo è necessario “diventare come i bambini” davanti a lui. 

“Nella vita dici: «Io voglio». Nella preghiera devi dire: «Io ti prego». Nella preghiera non sei più l’uomo che ha autorità ma il bambino che domanda, il mendicante che tende la mano, il fallito che accetta l’umiliazione. Per riuscire nell’esistenza si deve sapere, volere, potere. Per riuscire nella preghiera si deve acconsentire a non sapere niente, a non volere niente, a non potere niente, affinché Dio ti doni il suo sapere, il suo volere, il suo potere. «È contro natura!» mi hai detto un giorno. Sì, capisco molto bene che sia una tortura per te rimanere là impotente davanti a Dio e che preferisci qualsiasi attività. Ma è esattamente attraverso l’orazione che si opererà questo rovesciamento della tua natura, questa conversione che sola può adeguarti all’azione di Dio. …Abdicare, dichiarare fallimento al momento dell’orazione è molto positivo, suppone un’intensa attività spirituale, cioè che tu creda in Dio presente e operoso, che tu mortifichi senza pietà tutto ciò che in te reclama di vivere e di riuscire, che ti doni, o piuttosto che attendi, paziente, ospitale e disponibile, che Dio venga a prenderti”(Caffarel).

Nel Salmo 131 si dice: “Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia. Speri Israele nel Signore ora e sempre”. Queste parole esprimono bene quello che deve essere il sentimento fondamentale della nostra preghiera: abbandonata ogni inquietudine metterci nelle mani di Dio come un bambino in braccio a sua madre.

L’umiltà nella preghiera è fondata, come abbiamo già detto citando s. Ireneo, sul fatto che Dio è colui che dona e l’uomo colui che riceve; ma la nostra povertà è data anche dal nostro peccato. Nella celebrazione eucaristica non siamo invitati proprio all’inizio a confessare il nostro peccato per ricevere misericordia? Ebbene, anche nella preghiera individuale stiamo davanti a Dio come peccatori, senza dimenticare che siamo suoi figli. Riguardo a questo il vangelo ci propone al pagina del figlio perduto e ritrovato: “ … Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. … Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro Dio e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. … Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”(Lc 15, 14-20). 

La preghiera è questo: il momento privilegiato per prendere coscienza della propria miseria, per distogliersi da essa volgendosi a Dio; il luogo dell’incontro tra il Padre e il figlio; l’abbraccio tra la misericordia e la miseria; la festa gioiosa del ritrovarsi. Comprendi: non è il figlio che si purifica, si santifica da solo e viene allora a ritrovare suo padre. Tu vedi piuttosto che egli si avvicina impuro, vestito di stracci ripugnanti; è il perdono paterno che lo purifica, lo trasforma, lo riveste dell’abito di festa. 

Parliamo senza immagini: la purificazione e la santificazione del peccatore non sono opera dell’uomo ma opera di Dio. Dono di Dio, dono gratuito, che l’uomo non saprebbe meritare, che gli è concesso se ci crede, se osa crederci. Ed è proprio questo che è grande agli occhi del Signore: che l’uomo abbia una così alta idea del suo Dio, che non esiti a credere alla misericordia. … Portare la propria miseria perché la misericordia la sommerga, questa è l’orazione del peccatore – la nostra, perché «se diciamo che siamo senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi»(1 Gv 1, 8)”(Caffarel).

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