martedì 21 gennaio 2014

Vangelo: ha un posto nella tua vita?

di Ortensio da Spinetoli


Il Vangelo è un libro da leggere, da comprendere, da vivere. Una lettura che dura da millenni, una comprensione che ha assillato intere generazioni di esperti e non appare ancora esaurito, una proposta esistenziale che ha affascinato schiere di uomini e di donne di tutti i tempi e affascina ancora. I lettori e gli studiosi del Vangelo non sono mai di soprannumero e c’è sempre un’ulteriore urgenza di volenterosi che si impegnano a tradurlo nella vita d’ogni giorno. 


San Francesco – dicono i biografi – era il “Vangelo vivente”, perché traeva ispirazione dalle sue pagine per qualsiasi scelta che sentiva di dover compiere, per il suo regime penitenziale, le sue mosse apostoliche. “Andiamo al Vangelo” – diceva ai suoi compagni, quando si trovava davanti a qualche perplessità. Il suo appello al Vangelo ha fatto distinguere il suo movimento da tutte le istituzioni di allora. La resistenza al card. Ugolino che gli “proponeva di aderire a una delle regole monastiche del tempo proveniva solo dal suo assoluto riferimento al Vangelo, l’unica regola che doveva valere per i suoi “frati”.


“Tornare al Vangelo” o “vivere secondo il Vangelo” non è uno slogan culturale, ma un invito che può valere per qualsiasi genere di persone e per qualsiasi stile di vita. La testimonianza che esso racconta non è di parte, ma di portata universale. Gesù non è il profeta d’Israele e dei soli cristiani, ma di tutti, di quanti cioè desiderano un approccio autentico con la Realtà ultima, l’Essere supremo, il creato, le creature, l’uomo. Gesù ha sempre qualcosa da dire a chiunque si mette sinceramente in ascolto della sua Parola che è insieme vera Parola di Dio. La sua esperienza è fuori del comune, ma pur sempre umana. “Imparate da me che sono mite ed umile”, dichiara pubblicamente (Mt 11, 29). Le sue richieste non sono certo meno esigenti delle imposizioni mosaiche: chiedere di amputarsi una mano, un piede, di perdere un occhio, di saper rinunciare ai propri averi, persino alla vita per salvaguardare l’onore, il volere di Dio o il bene dei fratelli. Con tutto ciò può dire che il suo giogo è soave, il suo peso leggero, perché l’ha portato prima di chiedere ai suoi seguaci di fare altrettanto.

Il Vangelo rasenta l’utopia non quando ricorda il dovere di amare Dio con tutte le forze, cosa del tutto ovvia e legittima, ma quando propone di amare con la stessa dedizione il “prossimo” (Mt 22, 37-40), e tocca il parossismo quando tra le persone “vicine” inserisce l’accattone, il lebbroso, il pubblico peccatore e persino (incredibile) il “nemico”. Colui che sta tramando contro di te, che sparla sul tuo conto, pensa alla tua rovina, tu devi non solo desiderare il suo bene, ma devi compierlo, devi raccomandarlo al Signore affinché lo aiuti (certo anche a convertirsi), lo benedica, lo renda cioè felice.

Il Vangelo è una “buona notizia” anche per i giusti e i benestanti, ma prima ancora per i poveri, gli infermi, gli ultimi, non perché segna automaticamente o magicamente la fine del loro malessere, ma perché suggerisce a tutti di rimboccarsi le maniche, affinché questo atteso, sospirato cambiamento si realizzi quanto prima, non in forza di buone parole, che pur non sono da disprezzare, ma di buone azioni. Il Vangelo è il vademecum di ogni uomo di buona volontà: del sacerdote e del religioso, come del comune credente, dell’operaio evangelico al pari che dell’operatore sanitario, perché a tutti offre un richiamo alla serietà, severità, responsabilità professionale. Il Vangelo è un libro da mettere in mano soprattutto alle nuove generazioni se si vuole una loro crescita ordinata, se si desidera dare ad esse una motivazione sicura, un’orientazione valida per il loro futuro. 

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