mercoledì 23 aprile 2014

La preghiera di Cristo e la nostra preghiera (2)

di fra Giuseppe Bartolozzi


Dice Gesù: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”(Gv 4, 35). Possiamo supporre che la preghiera notturna di Gesù, fatta in solitudine, di cui ci parla il vangelo (cf. Mc 1, 35) sia stata animata da una parte dal desiderio di custodire l’intimità col Padre [“io sono nel Padre e il Padre è in me”(Gv 14, 11)], dall’altra di realizzare la volontà del Padre, cioè la manifestazione del Regno di Dio, e di intercedere perché questo si compisse. Anche nella sua preghiera terrena Gesù è stato il grande intercessore presso il Padre per la salvezza del mondo, come ci suggerisce questo passo del vangelo: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede”(Lc 22, 31-32).
 
Soprattutto con il compimento del suo mistero pasquale di morte e risurrezione, Gesù diviene colui che è “sempre vivo per intercedere a nostro favore”(Eb 7, 25); “… abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo colui che rende giusti”(1 Gv 2, 1). Il tema dell’intercessione di Cristo vivente presso il Padre è stato sviluppato particolarmente dalla Lettera agli Ebrei: “Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in cosa, come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno”(4, 14, 16). 

Nell’Antico Testamento abbiamo la figura di Mosè che intercede per il suo popolo. Amalek venne a combattere contro Israele e “Mosè disse a Giosuè: scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalek. Domani io starò ritto sulla cima del colle con in mano il bastone di Dio. … Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek. Poiché Mosè sentiva pesare le mani dalla stanchezza, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi sedette, mentre Aronne e Cur sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. Giosuè sconfisse Amalek e il suo popolo” (Es 17, 9-13). 

Mosè è qui immagine di Gesù, il solo vero e grande Intercessore che ci ha procurato una salvezza eterna ed intercede continuamente per i suoi fratelli. Sì, ecco la grande verità che noi spesso dimentichiamo: Cristo ci ha resi suoi fratelli; egli dice infatti alla Maddalena dopo la risurrezione: “… ma va dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro”(Gv 20, 17). Se egli è il capo del corpo che è la Chiesa (cf. Col 1, 18) “egli ci dà il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio”(Ef 3, 12). 

Per mezzo del profeta Ezechiele Dio dice: “Io ho cercato fra loro un uomo che costruisse un muro e si ergesse sulla breccia di fronte a me, per difendere il paese perché io non lo devastassi, ma non l’ho trovato”(Ez 22, 30). Un uomo così non c’era, ma Dio ci ha donato il suo Figlio Gesù Cristo. Ecco l’uomo che Dio cerca: in piedi sulla breccia, le due braccia stese per intercedere e che non si stancano, come quelle di Mosè. “Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova”(Eb 2, 17-18).

“Mettersi in orazione è raggiungere la preghiera di Cristo, è prendere il nostro posto nel cuore di Cristo che prega il Padre suo”(Caffarel): questo è vero poiché “Dio ha inviato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida Abbà, Padre”(Gal 4, 6). In tutti i battezzati è suo Figlio che il Padre riconosce; nella loro preghiera è la preghiera del Figlio che il Padre ascolta.

“Ogni anima in stato di grazia ha la capacità di pregare. È sufficiente che passi all’atto del pregare perché la preghiera di Cristo, in essa e per essa, si slanci verso il Padre. Ma questa preghiera di Cristo, che il battesimo ci comunica, è in noi un seme, come il seme della parabola che, più piccolo tra tutti, può diventare un grande albero. Questa parabola non riguarda la preghiera di Cristo, bensì il Regno di Dio nel mondo, tuttavia, il Regno di Dio è la presenza di Cristo … ora chi dice presenza di Cristo dice preghiera di Cristo poiché per lui vivere è pregare. Se dunque la preghiera di Cristo è in noi, semente in mezzo ai cespugli, accostarsi alla preghiera consiste essenzialmente nel prendere coscienza di questa preghiera e nel favorirne lo sviluppo. 

Ma siamo modesti: non è la terra che produce la semente, non è l’attività del giardiniere che produce i fiori e i frutti; tutt’al più la terra e il giardiniere offrono le condizioni e gli elementi richiesti per lo sbocciare e la crescita della pianta. Non è il cristiano che produce la preghiera, questa preghiera che sola piace al Padre, la preghiera del Figlio; essa è dono di Dio, eppure si indebolisce se noi non le forniamo l’adesione e il concorso di tutto il nostro essere, se noi non ricorriamo ai sacramenti che l’alimentano. Essa soffoca tra i cespugli se, nel tempo dell’orazione non sfrondiamo questa vegetazione di pensieri, di sentimenti, di desideri che ci intralciano. Ma se facciamo ciò che tocca a noi, allora, la preghiera di Cristo cresce in noi «come un uomo che getta il seme nella terra: dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa»(Mc 4, 26-27)”(Caffarel). 

Cresce in noi se siamo perseveranti. “Un ragionamento che viene fatto abbastanza spesso e che può impedirci di essere fedeli alla preghiera è il seguente. In una cultura come la nostra amante della libertà e dell’autenticità, si sentono persone dire: pregare … trovo questo molto bello, ma io prego solamente quando mi sento spinto a farlo. Andare a pregare quando non ho nessuna voglia, sarebbe qualcosa di artificioso e di forzato; sarebbe anche una mancanza di sincerità e una forma di ipocrisia. Pregherò quando ne avrò il desiderio. 

A ciò bisogna rispondere che, se aspettiamo che venga la voglia, attenderemo forse invano sino alla fine dei giorni. Il desiderio è qualcosa di molto bello, ma di mutevole. Vi è un motivo ugualmente legittimo, ma assai più profondo e più costante per spingerci a incontrare Dio nella preghiera: il fatto semplicissimo che lui stesso ci invita a farlo. Il Vangelo chiede di pregare sempre, senza stancarci (cf. Lc 18, 1). Ed è ancora la fede, non lo stato d’animo soggettivo che deve guidarci. … La fedeltà alla preghiera è una scuola di libertà e di verità nell’amore, poiché essa ci insegna gradualmente a porre la nostra relazione con Dio su di un terreno che non è più quello vacillante e instabile delle nostre impressioni, delle nostre variazioni di umore, del nostro fervore sensibile che va su e giù, ma sulla pietra solida della fede, sul fondamento della fedeltà di Dio incrollabile come la roccia: Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13, 8)” (J Philippe). 

Dunque, se noi siamo fedeli alla preghiera, Gesù il Fedele farà crescere in noi la sua presenza e la sua preghiera affinché la nostra esistenza sia afferrata dalla grazia dello Spirito Santo: è proprio la grazia dello Spirito Santo che Gesù intercede senza posa per noi al Padre ed è soprattutto il dono dello Spirito che Gesù insegna a chiedere nella preghiera : “Se dunque voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono”(Lc 11, 13).

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