mercoledì 9 aprile 2014

La preghiera di Gesù e la nostra preghiera.

di fra Giuseppe Bartolozzi


“Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli a pregare». Ed egli disse loro: «Quando pregate dite: Padre …» (Lc 11, 1-2). Soffermiamoci su questa prima espressione della preghiera che Gesù ha donato ad ogni suo discepolo. Noi sappiamo che Gesù nella sua preghiera si rivolgeva al Padre chiamandolo, nella sua lingua aramaica, Abbà, come ci testimonia l’evangelista s. Marco a proposito della preghiera di Gesù nel Getsemani: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”(14, 36). 


S. Paolo afferma nella lettera ai Galati: “Dio ha inviato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, che grida Abbà, Padre!”(4, 6). Allo stesso modo nella lettera ai Romani: “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio, … avete ricevuto uno spirito da figli per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!”(8, 15). Se s. Paolo, in riferimento alla preghiera del cristiano, ci ha conservato la parola aramaica Abbà per rivolgersi al Padre celeste, ciò vuol dire che quest’espressione aveva una particolare importanza, potremmo dire che questa fosse come una preziosissima reliquia, dovuta al fatto che era stata la stessa espressione che Gesù aveva utilizzato nella sua preghiera, come ci testimonia l’evangelista Marco. Da questo possiamo concludere che la prima espressione della preghiera insegnataci da Gesù sia Abbà: questa è equivalente del termine greco Padre quale lo troviamo ora nel vangelo. 

La parola Abbà, però, dice qualcosa in più rispetto a quella di Padre. Infatti, Abbà è la parola familiare del bambino: papà; quindi se si vuole rendere la sfumatura di tenerezza familiare e fiduciosa di questo Abbà si dovrebbe tradurre con “mio amato Padre”, “mio caro Padre”. Nella tradizione della preghiera ebraica, prima di Gesù e dopo di Gesù, l’espressione Abbà per rivolgersi a Dio non è stata mai usata e il motivo è questo: “per una mente giudaica, sarebbe stato irriverente e perciò impensabile chiamare Dio con questa parola familiare. Fu qualcosa di nuovo, qualcosa di inaudito che Gesù osasse compiere questo passo e si rivolgesse a Dio con la semplicità, intimità e fiducia con cui un bambino si rivolge al proprio padre. Non vi è dubbio che l’Abbà con cui Gesù usava rivolgersi a Dio, riveli la vera natura della comunione che egli aveva con Dio”(Jeremias), cioè che egli era realmente il Figlio di Dio. 

Tornando alla circostanza in cui Gesù insegna ai suoi discepoli a pregare, abbiamo visto che un discepolo aveva chiesto: “Signore insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli a pregare”. “Questa richiesta implicava il desiderio dei discepoli di avere una preghiera loro propria, come i seguaci del Battista, o i Farisei, avevano le loro preghiere. “Signore insegnaci a pregare” significa quindi “Signore dacci una preghiera che sia il contrassegno e simbolo dei tuoi seguaci”. Gesù esaudisce questa richiesta, e nel farlo egli per prima cosa autorizza i suoi discepoli a seguirlo dicendo Abbà. Egli dà loro questo vocativo (cioè si tratta di un’invocazione: o amato Padre) come segno della loro qualità di discepoli. 

Con l’autorizzazione ad invocare essi pure Dio come Abbà egli li fa partecipi della sua stessa comunione con Dio”(Jeremias); s. Paolo dice infatti che Dio ci ha donato lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà. Le antiche liturgie cristiane mostravano di essere consapevoli della grandezza di questo dono quando premisero alla preghiera del Signore le parole che ancor oggi ripetiamo: “Noi osiamo dire: Padre nostro”. Dunque, quest’invocazione con cui inizia la preghiera che Gesù ci ha lasciato, costituisce un continuo richiamo al grande mistero della nostra elezione così come è annunziato da s. Paolo nella lettera agli Efesini: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione dello Spirito nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della fondazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nell’amore, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo”(Ef 1, 3-5).

               
Tutta la nostra preghiera cristiana può essere concentrata in questa invocazione a Dio da cui iniziare e a cui sempre ritornare: Abbà, Padre! Qui c’è tutto quello che è Dio per noi e quello che noi siamo per Dio. Quanto Gesù dice: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio”(Lc 18, 16), possiamo applicarlo innanzitutto alla nostra preghiera: egli ci invita a metterci davanti a Dio con quell’abbandono, fiducia e intimità che i bambini hanno nei confronti dei loro genitori

Abbà, Padre amato!”. Così i discepoli, come il loro Maestro, possono rivolgersi a Dio con una tenerezza filiale. È questa in effetti la grande rivelazione che Gesù porta al mondo: coloro che credono in lui sono figli di Dio e non in senso metaforico ma realmente, poiché sono generati da Dio: “A quanti però l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio; a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”(Gv 1, 12-13). 

“Gesù ha fatto di più che insegnare ai suoi le parole delle quali devono servirsi per pregare. Dal giorno della Pentecoste egli invia lo Spirito Santo che nel profondo del cuore di ogni cristiano sussurra: Abbà! Se noi sapessimo vivere all’interno di noi stessi sapremmo riconoscere la sua voce. Bisogna credere che i corrispondenti di s. Paolo fossero più sensibili di noi alle ispirazioni dello Spirito. In effetti, per ricordare loro che sono figli di Dio, l’Apostolo non esita a scriver loro (io parafraso appena il suo testo): non è forse vero che quando voi vi raccogliete, una parola, un grido, sgorga dal profondo di voi stessi: Abbà? Questo non vi deve stupire: voi avete ricevuto lo Spirito Santo e, voi lo sapete bene, lo Spirito Santo è lo Spirito del Figlio. Lo Spirito del Figlio suscita in voi i sentimenti del Figlio e fa salire alle vostre labbra l’invocazione stessa di Cristo: Abbà, Padre amato! Quale prova migliore potete desiderare della vostra filiazione divina? (Caffarel). 

Quando Gesù dice alla samaritana: “i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché il Padre cerca tali adoratori”(Gv 4, 23) vuol dire questo: nello Spirito Santo donato dal Cristo noi possiamo adorare Dio come Padre, essere inseriti nel mistero del Dio vivente che è Trinità. La nostra preghiera esprime la nostra nuova vita in Cristo e questo ci è richiamato soprattutto dall’espressione con cui inizia la preghiera del Signore: Abbà, Padre!

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