lunedì 28 aprile 2014

Piangere

di Elena Nociaro


“Dai, smettila di piangere, ormai sei un ometto! I grandi non piangono e tu sei grande, vero?”
Di sicuro avete sentito tutti queste parole da bambini, dopo aver versato qualche lacrimuccia per un ginocchio sbucciato o aver litigato con un amichetto. Il pianto potrebbe essere definito come un incontenibile moto dell’animo: in quell’attimo il cuore è così colmo che non può fare a meno di esternare quell’eccesso di emozione o rischia di scoppiare. E non si parla solo di emozioni negative: vi è capitato, anche solo per un attimo, di essere così felici, ma così felici, da non riuscire a trattenere le lacrime nate lì, sul vostro occhio, così, all’improvviso?

L’uomo è fatto per provare sentimenti, emozionarsi, vivere (in un certo senso sono sinonimi!), e quando si continua a versare acqua sul vaso già pieno quest’ultima uscirà fuori. A pensarci, piangere è la prima azione che compiamo dopo la nascita: un bel respiro, inauguriamo i polmoni nuovi di zecca riempiendoli per bene d’aria e… “WAAAAH!” grossi lacrimosi ci rigano le guance finché non ritorniamo al sicuro, protetti come un pulcino sotto un’ala, tra le braccia della mamma, ancora spaventati di fronte a una grandissima sfida che ci viene proposta e ancora non comprendiamo. 

Ma se abbiamo la mamma accanto, non abbiamo paura di nulla. Ecco, in un certo senso Dio è la nostra mamma: se ci fidiamo completamente di Lui, senza riserve, mettendo la nostra vita completamente nelle Sue mani, Lui è lì, ci sostiene, ci sorregge nelle difficoltà, ci offre tutta la sua protezione, e riusciamo ad affrontare anche i momenti più bui della nostra vita con coraggio, sentendo la Sua mano che ci sostiene.

Oppure possiamo comportarci da “adolescente ribelle” che, troppo orgoglioso per solo pensare di chiedere aiuto, chiude le porte in faccia alla madre, convinto di riuscire a superare ogni problema da solo, di non avere bisogno di nessuno e bastare a sé stesso, padrone della sua vita e del mondo che lo circonda. 

È qui che l’uomo si spezza. Siamo talmente convinti di riuscire a portare a compimento qualunque cosa ci proponiamo, di poter raggiungere ogni obiettivo unicamente con la nostra forza di volontà, che il fantasma del fallimento da solo ci spaventa da morire. Se, anche solo per un attimo, si affaccia nella nostra mente l’idea di non farcela, essa non ci abbandonerà più e continuerà a roderci come un tarlo insistente, lasciando il nostro castello di false certezze instabile e pieno di buchi. Ma non arriveremo mai ad ammettere di non essere in grado di arrivare fino in fondo, non diremo mai ad alta voce di avere bisogno di una mano amica che ci trascina quando la salita si fa più ripida. Nella nostra superbia ciò ci ferirebbe più della sconfitta stessa.

È questa la ragione per cui ci vergogniamo così tanto del pianto: la nostra paura, la nostra inadeguatezza prendono forma, diventano materia palpabile; siamo costretti ad ammettere la nostra piccolezza, la nostra vulnerabilità, toccandole con mano. Cadono tutte le maschere, l’anima si mette a nudo. Dio è Onnipotente, l’uomo no. Eppure ha il coraggio di negare la sua umanità. È fatto di emozioni, ma le nasconde. Le vede come una debolezza, ma sono la sua essenza.

Sono parte così integrante di noi che Cristo stesso nel “farsi carne” non se ne priva ma le vive fino in fondo: ama il giovane ricco, ha paura nell’orto degli ulivi, scoppia in pianto (Giov 11,35) di fronte alla tomba di Lazzaro. Cosa gli sarebbe costato togliersi questo pesante fardello? Dobbiamo essere umili come la peccatrice ai piedi di Gesù, riconoscere il nostro essere imperfetti e trasformare le nostre lacrime di dolore in preghiera, la nostra debolezza in occasione di crescita e rafforzamento della fede e dell’amore in Colui che così tanto ci ama da perdonarci tutto!

E pieni di questo amore, non sarà più facile riuscire a perdonare anche le lacrime e debolezze altrui? Perdono ed amore sono in realtà allo stesso tempo causa ed effetto l’uno dell’altro: “Le sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato.  Invece quello a cui si perdona poco, ama poco.” (Luca 7,47)

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