mercoledì 4 marzo 2015

di fra Giuseppe Bartolozzi


La preghiera cristiana autentica è l’incontro, cioè relazione, con il Dio vivente: pregando noi non entriamo in contatto con un’idea, con un pensiero, ma con l’essere stesso di Dio che è Padre e Figlio e Spirito Santo. Se scorriamo l’Antico testamento noi vediamo che Dio, innanzitutto, è colui che parla all’uomo, che si manifesta all’uomo con la sua parola.
 
Tuttavia, non deve sfuggirci che Dio si rende anche misteriosamente presente di persona all’uomo: consideriamo i testi più significativi. All’inizio della Genesi, a proposito della presenza di Adamo ed Eva nel giardino dove erano stati posti da Dio, si dice che i due «udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno». Il giardino o paradiso originario è l’ambiente in cui il Dio della vita incontra l’uomo. Il testo biblico ci dice che all’origine, prima del peccato, c’è una vicinanza, una familiarità fra Dio e l’uomo: Dio stesso si lascia incontrare dall’uomo in questo giardino! In seguito, come abbiamo visto, Dio si presenta ad Abramo: «Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno» (Gen 18, 1). 

Addirittura Giacobbe lotta misteriosamente con Dio: «Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui, fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quegli disse: Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora. Giacobbe rispose: Non ti lascerò andare, se non mi avrai benedetto! Gli domandò: Come ti chiami? Rispose: Giacobbe. Riprese: Non ti chiamerai più Giacobbe ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto! Giacobbe allora gli chiese: Dimmi il tuo nome. Gli rispose: Perché chiedi il mio nome? E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuel, perché, disse, ho visto Dio a faccia a faccia eppure la mia vita è rimasta salva» (Gen 32, 25-31). 

L’episodio è significativo poiché Dio interviene personalmente per costituire mediante Giacobbe il suo futuro popolo, cioè Israele; Dio non gli rivela il suo nome ma lo farà, come abbiamo richiamato nel nostro ultimo nostro incontro, quando apparve a Mosè in una fiamma di fuoco in mezzo ad un roveto dicendo: Io sono, cioè Yahwè (cf. Es 3, 2 ss.). L’alleanza di Dio con il suo popolo Israele sul monte Sinai si realizza attraverso la presenza stessa di Dio sul monte: «Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube, perché il popolo senta quando io parlerò con te e credano sempre anche a te. … Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace … Mosè parlava e Dio gli rispondeva con voce di tuono. … Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante … il popolo si tenne dunque lontano, mentre Mosè avanzò verso la nube oscura nella quale era Dio» (Es 19, 9. 18-19; 20, 18.21). Mentre il popolo di Israele pellegrinava nel deserto Dio aveva scelto di essere presente nella tenda del convegno: «Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda. Allora il Signore parlava con Mosè. … il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro» (Es 33, 9-11). Del tempio che verrà costruito a Gerusalemme, Salomone dirà: «Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito! … Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: Lì sarà il mio nome! [cioè la mia presenza]» (1 Re 8, 27-29). 

Come dimenticare a questo riguardo che Gesù, liberando il tempio di Gerusalemme dalla presenza dei mercanti, dirà: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato» (Gv 2, 16)? Insomma, percorrendo l’Antico Testamento noi vediamo che la paternità di Dio nei confronti dell’uomo e del suo popolo Israele si manifesta anche attraverso una presenza che potremmo definire tangibile: Dio si abbassa per entrare in contatto con l’uomo e abbassandosi attira l’uomo a sé, come Dio stesso dice per mezzo del profeta Osea: «Io li traevo con legami di bontà, con vincoli di amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia» (11, 4). 

Alla luce di questo agire di Dio trova il suo significato il grande annuncio fatto per bocca del profeta Isaia: «Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele» (7, 14), che significa Dio con noi, come specifica l’evangelista Matteo quando applica questa profezia alla nascita di Gesù dalla vergine Maria (cf. Mt 2, 20-23). Il centro di tutto l’agire paterno di Dio nella storia dell’umanità ha il suo centro permanente nell’incarnazione del suo Figlio, quel Figlio eterno che nel tempo diverrà realmente uomo e si chiamerà Gesù! Il Figlio è anche il centro dell’icona che abbiamo davanti, poiché il mistero di Dio diviene realmente visibile solo con lui.


La prima, esplicita rivelazione del mistero di Dio Trinità avviene quando l’arcangelo Gabriele annuncia a Maria, la piena di grazia o beneamata del Padre, la nascita di Gesù: questi è lo stesso eterno Figlio di Dio, il quale nascerà come uomo da Maria ma per opera dello Spirito Santo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1, 28-35). 

Andando oltre la storia dell’alleanza con Israele, la visuale in queste parole dell’angelo si allarga fino alla creazione: lo Spirito di Dio all’inizio si librava sulle acque e trasformava il caos in cosmo (Gen 1, 2); se Dio manda il suo Spirito sono creati gli esseri viventi (Sal 104, 30). Ciò che dunque accadrà ora nella Vergine Maria è una nuova creazione: Dio che ha chiamato l’essere dal nulla, pone in mezzo all’umanità, tramite Maria, un nuovo inizio annunciando che la sua Parola, il suo Verbo si fa carne. Questo momento come dirà s. Paolo è la pienezza del tempo: «Quando venne la pienezza del tempo Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4, 4). 

La pienezza del tempo è quando Dio nel suo Figlio fatto carne ricapitola tutta la creazione e tutta la storia dell’umanità, portandola al compimento e al suo profondo significato, poiché, come dice sempre s. Paolo, «tutto è stato fatto per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1, 16). L’altra immagine del testo dell’annunciazione: «su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo», rimanda al tempio di Israele e alla tenda santa nel deserto, dove la presenza di Dio si annunciava nella nube che nascondeva e nello stesso tempo rivelava la sua gloria. 

Quando l’angelo si rivolge a Maria con «Rallegrati», ricollegandosi con questo al saluto con cui il profeta Sofonia onora la Gerusalemme salvata alla fine dei tempi  nella quale si annuncia la dimora di Dio in mezzo a lei (Sof 3, 14ss), mostra che la Vergine rappresenta il nuovo Israele, la vera «Figlia di Sion»; ora Maria, sulla quale stende la sua ombra la potenza dell’Altissimo, appare quale tempio dove discende non più la gloria di Dio, ma lo stesso Figlio di Dio. «L’Antico Testamento conosce una serie di parti miracolosi, che si situano di volta in volta in punti decisivi della storia della salvezza: Sara, madre di Isacco (Gen 18), Anna, la madre di Samuele (1 Sam 1-3), e l’anonima madre di Sansone (Gdc 13) sono sterili e ogni speranza umana di ottenere la benedizione di un figlio è priva di senso. Per tutte e tre la nascita del figlio, destinato ad essere portatore di salvezza per Israele, è opera della benigna misericordia di Dio che rende possibile l’impossibile (Gen 18, 14; Lc 1, 37), che innalza gli umili (1 Sam 2, 7; 1, 11; Lc 1, 52; 1, 48). 

Questa linea prosegue con Elisabetta, madre di Giovanni Battista (Lc 1, 7-25.36), per raggiungere il suo vertice e il suo scopo in Maria. Il senso dell’evento è sempre lo stesso: la salvezza del mondo non proviene dall’uomo e dal suo potere; l’uomo deve attenderla e può accoglierla unicamente come puro dono. La nascita verginale di Gesù è in primo luogo annuncio di come pervenga a noi la salvezza: nella semplicità del ricevere, come dono dell’amore che redime il mondo. Nel libro di Isaia questa idea della salvezza che proviene esclusivamente dalla potenza di Dio è formulata in maniera grandiosa, quando si dice: «Esulta o sterile che non hai partorito, prorompi in grida di giubilo e di gioia tu che non hai provato i dolori del parto, perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata che i figli della maritata, dice il Signore» (Is 54, 1). 

In Gesù Dio ha posto dentro la sterile umanità un nuovo inizio. Nell’incarnazione la vita intima di Dio si rivela con perfetta chiarezza nella triplice espressione usata dall’angelo: «Il Signore (il Padre) è con te»; «Darai alla luce il Figlio dell’Altissimo»; «Lo Spirito Santo stenderà su di te la sua ombra.» (von Balthasar). All’azione di Dio Trinità che si manifesta nell’incarnazione appartiene anche il consenso della Vergine: il Figlio eterno di Dio è “nato da Maria Vergine” perché ella ha detto: «Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1, 38). Una autentica incarnazione del Figlio eterno di Dio aveva bisogno dell’accettazione di Maria, che ella mettesse a disposizione di Dio tutta la sua persona: ella dunque appartiene profondamente alla nostra fede nel Dio vivente, al grande mistero di Gesù Cristo, Colui che è pienamente Dio e pienamente uomo. Maria, Madre di Cristo e della Chiesa, ci insegna per la nostra vita e la nostra preghiera questo: il Dio vivente si manifesta realmente là dove c’è un cuore che, senza alcuna riserva, si abbandona alla sua Parola, cosicché ogni credente che si abbandona alla volontà di Dio genera nuovamente nel suo cuore il Figlio di Dio: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? … Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3, 33-35).

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