di fra Giuseppe Bartolozzi
L’episodio evangelico di Lc 10,
38-42, da cui siamo partiti per la nostra scuola di preghiera, ci
presenta l’atteggiamento contrapposto di Marta e di Maria
nell’accogliere Gesù nella propria
casa: la prima è presa dai molti servizi e quindi agitata; la seconda,
invece, sta in silenzio ed in ascolto ai piedi di Gesù, occupata
esclusivamente dalla sua presenza.
Silenzio ed ascolto costituiscono il
clima o l’atmosfera della preghiera autenticamente
cristiana. Si può stare realmente alla presenza di Gesù nella preghiera
solamente se riusciamo ad amare ed apprezzare il silenzio: Dio parla nel
silenzio! Al riguardo, al profeta Elia viene detto: “Esci e fermati sul
monte alla presenza del Signore. Ecco il
Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e
spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento.
Dopo il vento ci fu un terremoto ma il Signore non era nel terremoto.
Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore
non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il fruscio di un silenzio leggero. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna”(1 Re
19, 11-13). L’episodio ci insegna che Dio passa, cioè si rende
presente,
nel silenzio.
Bisogna ammettere che per noi la scuola del silenzio è
molto difficile, ma chi ama veramente Dio ama il silenzio e “la capacità
di vivere un po’ di silenzio interiore caratterizza il vero credente e
lo stacca dal mondo dell’incredulità, perché
l’uomo che ha scacciato dai suoi pensieri, secondo i dettami della
cultura dominante, il Dio vivente che riempie di sé ogni spazio, non può
sopportare il silenzio. Ciascuno di noi è esteriormente aggredito da
orde di parole, di suoni, di clamori che assordano
il nostro giorno e perfino la nostra notte; ciascuno di noi è
interiormente insediato dalle tante parole mondane che con mille
futilità ci distraggono e ci disperdono. In questo chiasso, l’uomo nuovo
che è in noi [cioè il nostro appartenere a Cristo] deve lottare
per assicurare al cielo della sua anima quel prodigio di un silenzio di
circa mezzora di cui parla l’Apocalisse (8, 1); che sia un silenzio
vero, colmo della presenza di Dio e risonante della sua parola”(C. M.
Martini).
Il cristiano innanzitutto guarda a Gesù
e che cosa vede? “Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare.
Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù”(Mt 14, 23); “al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava”(Mc
1, 35); “la sua fama si diffondeva ancor più; folle numerose venivano
per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro infermità. Ma Gesù si ritirava
in luoghi solitari a pregare”(Lc 5, 15-16); “si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo”(Gv
6, 15).
È un dato molto significativo quello che ci viene offerto dagli
evangelisti: Gesù ha pregato costantemente e lo ha fatto scegliendo
spesso la completa solitudine e il silenzio.
C’è un dato ancor più
significativo nella vita di Gesù: egli che è la Parola di
Dio, Il Verbo fatto carne, ha trascorso trent’anni a Nazareth nel
silenzio. “Nel mondo della fretta, la preghiera esige tempo e calma. Nel
mondo dei rumori, la preghiera domanda silenzio. Nel mondo della
distrazione, la preghiera domanda capacità di raccoglimento” (Lazzati). “Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os
2, 16). Nella preghiera ci deve essere un silenzio vero:
per pregare bene non basta
che ci sia silenzio all’esterno di noi stessi; è ancor più necessario
che riusciamo a fare silenzio in noi stessi. Nella nostra preghiera non
dobbiamo continuare a moltiplicare le parole e i pensieri: il silenzio
del cuore e della mente è la condizione indispensabile
perché Dio parli e così il silenzio diventi ascolto di Dio, ascolto
della sua Parola.
Un maestro della preghiera del cuore, J. P. de
Caussade, riporta un episodio della vita di s. Caterina da Siena, la
quale rivolgendosi a Gesù gli disse: “Ma Signore mio, permettetemi
di chiedervi perché accade che al tempo dei profeti e degli apostoli vi
manifestavate così abbondantemente ed ora non si vede invece niente di
simile? Figlia mia, risponde Gesù, un tempo gli uomini erano molto
semplici, molto diffidenti verso se stessi, aspettando
tutto da me; ma oggi si sono riempiti di se stessi, sono occupati da ciò
che fanno, da quanto mi dicono e ripetono senza posa come se io li
dimenticassi, che non mi lasciano mai il tempo di operare quanto voglio,
perché vogliono dire tutto, fare tutto a modo
loro, come se la mia grazia dovesse adattarsi a loro piuttosto che essi
alla mia grazia”.
La tentazione ricorrente nella preghiera è quella di
farci protagonisti. Ecco dunque la vera preghiera, la preghiera
difficile da apprendere: quella di saper creare in
noi stessi le condizioni affinché Dio sia il protagonista della
preghiera, in questa Egli parli e si manifesti. Alla vera preghiera noi
possiamo applicare quella espressione che Giovanni Battista utilizzò
parlando di sé nei confronti di Gesù: “Egli deve crescere
ed io diminuire”(Gv 3, 30). Nella preghiera dobbiamo imparare
quel “rinnegamento di noi stessi”(Lc
9, 23) di cui parla Gesù come condizione indispensabile
per seguirlo, cioè nella preghiera bisogna essere passivi, noi così
attivi, per aprirci a Gesù, lui che è “pieno di grazia e di verità”(Gv
1, 14) per la nostra vita.
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