mercoledì 13 novembre 2013

Silenzio e ascolto

di fra Giuseppe Bartolozzi


L’episodio evangelico di Lc 10, 38-42, da cui siamo partiti per la nostra scuola di preghiera, ci presenta l’atteggiamento contrapposto di Marta e di Maria nell’accogliere Gesù nella propria casa: la prima è presa dai molti servizi e quindi agitata; la seconda, invece, sta in silenzio ed in ascolto ai piedi di Gesù, occupata esclusivamente dalla sua presenza.
 
 Silenzio ed ascolto costituiscono il clima o l’atmosfera della preghiera autenticamente cristiana. Si può stare realmente alla presenza di Gesù nella preghiera solamente se riusciamo ad amare ed apprezzare il silenzio: Dio parla nel silenzio! Al riguardo, al profeta Elia viene detto: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore. Ecco il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il fruscio di un silenzio leggero. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna”(1 Re 19, 11-13). L’episodio ci insegna che Dio passa, cioè si rende presente, nel silenzio. 
Bisogna ammettere che per noi la scuola del silenzio è molto difficile, ma chi ama veramente Dio ama il silenzio e “la capacità di vivere un po’ di silenzio interiore caratterizza il vero credente e lo stacca dal mondo dell’incredulità, perché l’uomo che ha scacciato dai suoi pensieri, secondo i dettami della cultura dominante, il Dio vivente che riempie di sé ogni spazio, non può sopportare il silenzio. Ciascuno di noi è esteriormente aggredito da orde di parole, di suoni, di clamori che assordano il nostro giorno e perfino la nostra notte; ciascuno di noi è interiormente insediato dalle tante parole mondane che con mille futilità ci distraggono e ci disperdono. In questo chiasso, l’uomo nuovo che è in noi [cioè il nostro appartenere a Cristo] deve lottare per assicurare al cielo della sua anima quel prodigio di un silenzio di circa mezzora di cui parla l’Apocalisse (8, 1); che sia un silenzio vero, colmo della presenza di Dio e risonante della sua parola”(C. M. Martini). 
Il cristiano innanzitutto guarda a Gesù e che cosa vede? “Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù”(Mt 14, 23); “al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava”(Mc 1, 35); “la sua fama si diffondeva ancor più; folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro infermità. Ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare”(Lc 5, 15-16); “si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo”(Gv 6, 15). È un dato molto significativo quello che ci viene offerto dagli evangelisti: Gesù ha pregato costantemente e lo ha fatto scegliendo spesso la completa solitudine e il silenzio
C’è un dato ancor più significativo nella vita di Gesù: egli che è la Parola di Dio, Il Verbo fatto carne, ha trascorso trent’anni a Nazareth nel silenzio. “Nel mondo della fretta, la preghiera esige tempo e calma. Nel mondo dei rumori, la preghiera domanda silenzio. Nel mondo della distrazione, la preghiera domanda capacità di raccoglimento” (Lazzati). “Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2, 16). Nella preghiera ci deve essere un silenzio vero: per pregare bene non basta che ci sia silenzio all’esterno di noi stessi; è ancor più necessario che riusciamo a fare silenzio in noi stessi. Nella nostra preghiera non dobbiamo continuare a moltiplicare le parole e i pensieri: il silenzio del cuore e della mente è la condizione indispensabile perché Dio parli e così il silenzio diventi ascolto di Dio, ascolto della sua Parola
Un maestro della preghiera del cuore, J. P. de Caussade, riporta un episodio della vita di s. Caterina da Siena, la quale rivolgendosi a Gesù gli disse: “Ma Signore mio, permettetemi di chiedervi perché accade che al tempo dei profeti e degli apostoli vi manifestavate così abbondantemente ed ora non si vede invece niente di simile? Figlia mia, risponde Gesù, un tempo gli uomini erano molto semplici, molto diffidenti verso se stessi, aspettando tutto da me; ma oggi si sono riempiti di se stessi, sono occupati da ciò che fanno, da quanto mi dicono e ripetono senza posa come se io li dimenticassi, che non mi lasciano mai il tempo di operare quanto voglio, perché vogliono dire tutto, fare tutto a modo loro, come se la mia grazia dovesse adattarsi a loro piuttosto che essi alla mia grazia”. 
La tentazione ricorrente nella preghiera è quella di farci protagonisti. Ecco dunque la vera preghiera, la preghiera difficile da apprendere: quella di saper creare in noi stessi le condizioni affinché Dio sia il protagonista della preghiera, in questa Egli parli e si manifesti. Alla vera preghiera noi possiamo applicare quella espressione che Giovanni Battista utilizzò parlando di sé nei confronti di Gesù: “Egli deve crescere ed io diminuire”(Gv 3, 30). Nella preghiera dobbiamo imparare quel “rinnegamento di noi stessi”(Lc 9, 23) di cui parla Gesù come condizione indispensabile per seguirlo, cioè nella preghiera bisogna essere passivi, noi così attivi, per aprirci a Gesù, lui che è “pieno di grazia e di verità”(Gv 1, 14) per la nostra vita.

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